In seguito al post “Gentiloni e la solidarietà del governo italiano, risarciranno Ischia per il danno ricevuto”, il mio carissimo amico Ing. Giancarlo Romano, mi ha inviato un contributo sulle procedure di prevenzione sismica e di ricostruzione adottate dal Regno delle Due Sicilie in seguito al terremoto di Reggio Calabria e Messina del 5 febbraio 1783. Qualcuno a Roma potrebbe imparare molto leggendolo.       d.A.P.

5 febbraio 1783. Una data che sancisce la più grande catastrofe subita dalla popolazione del regno duosiciliano, in particolare quella della Calabria e Messinese, a seguito di un terremoto.
Per comprendere quali siano state le energie in gioco dei terremoti del 1783, si potrebbero confrontare con i terremoti recenti più violenti e altamente distruttivi , i due eventi più forti del 1783 avvennero il 5 febbraio e il 28 marzo; ebbero ciascuno un’energia paragonabile a quella rilasciata dal terremoto che sconvolse l’Irpinia nel novembre 1980, infatti, si calcola che la loro magnitudo Mw fu attorno a 7,0.
Così descrive l’evento Michele Torcia nel suo libro Tremuoto accaduto nella Calabria e a Messina alli 5 febbraio 1783 – “Gli effetti di questo tremuoto non hanno esempio negli Annali dell’Europa. L’unico, che lo rassomigli in ogni punto, è quello delle dodici Città dell’Asia, accaduto sotto Tiberio, e che Tacito ha tanto ben descritto in poche parole nel II Libro de’ suoi Annali.”
I centri abitati totalmente rasi al suolo furono 182. Il bilancio dei danni e delle vittime per i terremoti e il maremoto fu terribile: secondo le stime ufficiali del Vicario generale del Re di Napoli, le vittime complessive furono quasi 30.000 in Calabria (1300 solo a Scilla per gli effetti del maremoto e successiva onda anomala), cui si aggiunsero le vittime in Sicilia (almeno 700 nella sola Messina).
Anche la sequenza sismica, durata per più di tre anni, provocò altre vittime e migliaia di persone morirono negli anni seguenti a causa di carestie, malattie e stenti (circa 5000).
Le dimensioni della catastrofe spinsero il governo borbonico, e più in generale tutta la classe dirigente napoletana e calabrese dell’epoca, a prendere coscienza della necessità di una estesa e radicale riforma del sistema economico e abitativo della Calabria.
Decine di paesi furono abbandonati e ricostruiti in siti diversi, a seguito alla constatazione che alcuni erano dislocati in zone geologicamente instabili.
Il Re Ferdinando IV di Borbone emanò le “Istruzioni per la ricostruzione di Reggio” il 20 marzo 1784, inoltre con un Real Dispaccio si istituirono anche le “Giunte di Riedificazione” col compito di far rispettare le prescrizioni fissate dalle linee guida della Ricostruzione, queste ultime, definite dagli ingegneri Antonio Winspare e Francesco La Vega, in ventisei articoli.
Nelle Istruzioni veniva chiarito il metodo da tenersi nella riedificazi0ne dei “Paesi diruti nella Calabria.”, tali norme imposero la forma delle città, la regolarità della dislocazione degli edifici, la larghezza delle strade e diedero regole precise per la struttura degli edifici, riprendendo il sistema della casa baraccata. Tale sistema, in realtà, risale al 1627 e fu adottato a seguito del terremoto che rase al suolo molte città del beneventano; per questo era anche detto sistema “alla beneventana” (Cerreto Sannita).
La norma non prevedeva solo il sistema costruttivo da utilizzare per le singole costruzioni, ma ne stabiliva anche:
(1) le caratteristiche del sito, dove ricostruire intere città, “tale che si allontani quanto più si possa da valloni che fussero nelle adiacenze de’ medesimi, specialmente se la necessità avesse costretto di scegliere siti cretosi o argillosi”;
(2) la direzione delle strade che “saranno sempre rivolte ai venti meno molesti, evitando di farle infilare dai venti dominanti”;
(3) l’assetto urbanistico che per ogni città prevedeva “una strada diritta di maggiore ampiezza che non sarà mai meno di 40 piedi per le Città, né meno di 30 nei Casali o Terre”. Dunque doveva essere prevista una strada maestra diritta larga 8 metri, per le città minori, da 10 a 13 per quelle più importanti; le strade secondarie, larghe da 6 a 8 metri, diritte e ortogonali tra loro. Inoltre “Tutte le pubbliche strade dovranno essere necessaria1nente selciate nei luoghi cretosi al fine di renderle praticabili nell’inverno”;
(4) che “Al centro sarà realizzata una piazza maggiore più o meno grande e spaziosa, secondo lo richiederà la popolazione ed il concorso del mercato che dovrà tenervisi ed in questa sarà la fontana pubblica e oltre alla piazza principale si faranno altre piazzette secondo il bisogno.” Una piazza maggiore per il mercato grande, proporzionata alla popolazione, e piazze minori con le chiese parrocchiali o altri edifici pubblici.
Gli ingegneri si spingono a indicare con precisione i dati di progetto: “gli edifici pubblici, cosi sacri che profani, come le case delle persone facoltose che potranno costruirle con certa semplice decorazione saranno distribuite nelle strade principali ” e avranno le case tutte un atrio, tutto scoperto o circondato da porticato secondo il gusto e la facoltà dei possessori.”
Si tratta di un vero regolamento edilizio che definisce il nuovo sistema baraccato di prevenzione sismica in ogni suo dettaglio e modalità costruttiva.
I nuovi “fabbricati avranno uno zoccolo a terra, o basamento, alto fino a 5 palmi (ca. 1,31 m) che servirà per dare all’abitazione il commodo di cantine che avranno il resto della necessaria altezza sottoterra e le rispettive saettiere e lumi in detto basamento.”
Le cantine saranno realizzate su “volte a tutto sesto che incominciano a nascere da sotto il suolo delle strade, acciò trovino le stesse volte un invincibile ostacolo al loro urto. Il soprastante fabbricato avrà un’ossatura di grossi travi di castagno o quercia, secondo la natura dei boschi vicini, che situeranno negli angoli e a ragionevoli distanze e saranno legati con travi trasversali che venghino a posare su questi, e analogamente le travature dei palchi e dei tetti.”, veniva definita anche la qualità del legno che “saranno ben stagionali e tagliati sull’opportuni tempi e dovranno togliersene la senza ed abbrustolirsene tutte le superfici o impeciarsi ed avvertire che sieno circondate da sole pietre o mattoni e non da calcina.”
La preoccupazione di Winspeare e La Vega è che il tutto risulti ben collegato: “sarà tutta detta ossatura di legnami abbracciata di fabbrica, in maniera che non resti esposta la menoma parte alle varie impressioni dell’aria.
I muri portanti avranno uno spessore di almeno due palmi e mezzo (ca. 66 cm): la fabbrica sarà di mattoni o di pietre piccole, evitando espressamente di servirsi di qualunque pietra viva liscia nella superficie che non possa abbracciarsi dalla mano se prima non sia spezzata con mazza di ferro: saranno legate con calce spenta all’uso di Napoli ed impastata con arena di torrente o terra aspra al ratto e non cretosa, ed inionacata dentro e fuori di tonaca di buona qualita.
All’armatura interna in legname è affidato il compito di garantire ora la opportuna elasticità di risposta alle sollecitazioni del terremoto. Ma, non si ammetterà che per intero le case sieno costruite con intelaiatura, cioè con armatura di legno, legati tra di loro con croce di S. Andrea e riempiti i vacui con fabbrica di calcina o gesso, poiché in tali specie di fabbriche, restando i legnami troppo esposti all’aria, facilmente possono soffrire dell’alterazioni in un clima soggetto a molte ed istantanee mutuazioni, oltreché il gran caldo, che ci domina, facilmente ci può (far) nascere dei molesti insetti.”
Le Istruzioni definiscono con rigore le altezze delle nuove costruzioni: “l’altezza di ogni piano terreno da sopra lo zoccolo fino al gocciolatoio sarà di palmi 28 (circa sette metri). Gli edifici saranno di norma ad un sol piano coperti da un tetto a cui sia sottoposto il palco con travi bene assicurate sui traversi dei muri esteriori.”
La ricostruzione di intere città e paesi – come Reggio Calabria, Messina, Mileto, Palmi – fu pensata secondo tali regole e piani urbanistici totalmente nuovi, che a ragione possono essere visti come uno dei primi tentativi europei di introduzione di una normativa antisismica finalizzata alla riduzione del rischio sismico.
La cosa funzionò, infatti dopo il terremoto del 1908, Mario Baratta scriverà: “Ottima prova hanno dato anche in questa occasione le case baraccate: quelle con il semplice terreno o sono rimaste illese, oppure hanno sofferto ben poco; quelle ad un piano superiore ebbero qualche guasto. […] Infine fra queste costruzioni ricorderò pure che la baracca vescovile innalzata con sistema borbonico dopo il 1783, sebbene un po’ deteriorata dal tempo, è rimasta in buone condizioni […]”.
L’ingegneria sismica in Italia ha quindi radici lontane ricadenti nel Regno delle due Sicilie.
Al solito la storia viene scritta dai vincitori, questa è la grande truffa!

Si vogliono altresì ricordare alcune date:
1627 – 1° Decreto relativo la sismica. Dopo il gravissimo terremoto che colpì la Campania, fu definito un metodo costruttivo detto “sistema baraccato alla beneventana” basato su una struttura intelaiata in legno, con ritti infissi in un basamento di muratura e con le specchiature dei telai chiuse con materiali leggeri (canne, legname) cementate con malta ed intonacate.
1784 – Legge del Marzo 1784 emanata da Ferdinando IV di Borbone – “Istruzioni per la ricostruzione di Reggio”. Tale legge confermava l’utilizzo del “sistema baraccato” alla luce delle conseguenze del terremoto del Febbraio 1783 di Messina e della Calabria. Attraverso una circolare illustrativa si definiva l’altezza dello zoccolo di fondazione (circa 130 cm), si fissava lo spessore delle murature (circa 65 cm), si imponeva l’uso di mattoni o di pietre di piccole dimensioni (“Abbracciabili dalla mano”). La struttura di copertura doveva poggiare su cordoli alla sommità della muratura, collegati in modo da formare “…. quasi un telaro”

Ing. Giancarlo Romano

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