Meglio di una rapina in banca, in dieci minuti il Consiglio dei ministri fa sparire 36,5 milioni di soldi pubblici.
di Paolo Nino Catileri
Immaginate di essere un filantropo straniero a capo di una grande organizzazione non governativa. Immaginate anche di avere a disposizione per le vostre attività benefiche una quantità notevole di soldi da utilizzare e, per decidere cosa finanziare o chi aiutare, riunite il consiglio della vostra ONG.
Tra le tante opzioni valide vi capita sotto mano il grave problema della siccità italiana che sta mettendo in ginocchio l’intero settore agricolo. Il consiglio, alla fine, decide di dare un mano alle regioni italiane in difficoltà. Prima però bisognerà documentarsi per comprendere dove collocare gli aiuti in modo tale che essi siano davvero utili a risollevare le sorti del territorio realmente versa in stato di necessità.
Anziché guardare la TV o leggere i giornali il consiglio da mandato di ricercare i dati sull’agricoltura italaliana. E i dati dicono che la maggior parte delle unità produttive agricole è concentrata nelle regioni del Sud: Puglia, Sicilia, Calabria e Campania sono le prime quattro regioni, dove si concentrano oltre 700 mila aziende (46,9% del totale). Tra le regioni del nord, invece, il Veneto ha il maggior numero di aziende (88 mila, il 5,8%), mentre nel Centro, il Lazio con 100 mila aziende copre il 6,9% del totale. Le regioni che presentano valori più elevati di SAU (superficie agricola utilizzata) sono Puglia, Sicilia e Sardegna rispettivamente con oltre 1,3 milioni di ettari, mentre la regione con meno superficie è la Liguria con 4 mila ettari di SAU (0,4%) – (ISTAT).
Tuttavia le imprese agricole tendono a essere la tipologia prevalente nelle regioni del nord, risultato di un contesto agricolo altamente strutturato. A questo punto ci si chiede come mai pur avendo un numero minore di unità produttive (25,4% del totale nazionale), il nord realizzi il 49,6 per cento della produzione ed il 47 per cento del valore aggiunto, coprendo però solo il 23 per cento del lavoro dipendente e sostenendo solo il 28,7 per cento del costo del lavoro nazionale, mentre al Sud, dove si localizzano quasi i due terzi (63,2 %) delle aziende del Paese si realizza il 38,7% della produzione, il 42,3% del valore aggiunto e si copre addirittura il 56,5% del costo del lavoro nazionale – (ISTAT).
Lo strano caso diventa ancor più strano se si considera il Mol (Margine operativo lordo) cioè l’ indicatore di redditività che evidenzia il reddito di un’azienda basato solo sulla sua gestione operativa, quindi senza considerare gli interessi (gestione finanziaria), le imposte (gestione fiscale), il deprezzamento di beni e gli ammortamenti. In pratica il Mol risulta essere l’autofinanziamento “potenziale” di un’impresa, in quanto ne identifica il flusso che potenzialmente essa originerebbe dalla gestione corrente se tutti i ricavi fossero stati riscossi e tutti i costi correnti fossero stati pagati nell’anno. Ebbene la quota di Mol delle imprese agricole del nord rappresenta il 50,1% del totale, mentre a Sud si ferma al 39,9% (ISTAT).
Il quadro si complica, ma il consiglio della immaginaria ONG non demorde e vuole vederci chiaro, perché quei soldi non devono essere sprecati. E così saltano fuori altri dati relativi al sostegno pubblico complessivo (fondi UE, agevolazioni, trasferimenti Statali) in agricoltura durante il ventennio 2010-2019, dai quali balza agli occhi come lo stato italiano abbia destinato al nord, in vent’anni, un sostegno pubblico complessivo pari a 5,5 mld su 12,6 destinando al Sud solo 3,4 mld (CREA).
E se si osservano i dati dei soli trasferimenti statali per trovare la prima regione meridionale, la Puglia, bisogna scorrere la classifica fino al sesto posto. I primi cinque sono occupati dai soliti noti: nell’ordine Emilia Romagna, Toscana, Lombardia, Veneto, Piemonte per oltre 300 milioni di euro su di un totale di circa 550 milioni. Non cambia la situazione per le agevolazioni dove la Puglia è quarta dietro ad Emilia Romagna, Liguria e Veneto.
Di fronte a questi dati che dimostrano come l’agricoltura del nord è stata ed è ben foraggiata dallo stato e quindi ha maggiore capacità di riprendersi in maniera autonoma di fronte alle criticità (vedi Mol al 50%), il filantropo straniero e la sua ONG decidono di elargire a fondo perduto 30 milioni di euro alle regioni meridionali, 6,5 a quelle settentrionali a patto che tutti i beneficiari li usino esclusivamente per far fronte alla siccità e ne stilino un resoconto finale.
Questo sarebbe stato il procedimento che il CdM italiano, per grandi linee, avrebbe dovuto adottare per determinare gli aiuti da destinare a tutte le regioni italiane interessate dalla siccità. Riunitosi ieri sera, invece, in soli dieci minuti dieci, ha deliberato lo stato di emergenza in cinque regioni del nord ed ha loro staccato un assegno complessivo di 36,5 milioni: Lombardia (9 mln), Emilia-Romagna (10,9 mln), Piemonte (7,6 mln), Friuli Venezia Giulia (4,2 mln) e Veneto (4,8 mln). Milioni sull’unghia senza batter ciglio, senza chiedere di dimostrare come verranno utilizzati.
Almeno, i governatori del nord, saranno soddisfatti e ringrazieranno … macché … Bonaccini vuole anche che si utilizzino ulteriori risorse del Pnrr per rifare la rete idrica (quella della sua regione, non certo quella calabrese, campana o siciliana).
Insomma al nord tutti bravi a batter cassa e pretendere i soldi pubblici, salvo poi invocare il “residuo fiscale” e l’autonomia differenziata quando c’è da restituire sul fondo di perequazione.
E poi c’è chi si scandalizza quando sostengo di non sentirmi affatto italiano.