Qualche mese fa, prima che aprissi questo blog, lessi sul sito de “il Giornale” un articolo di Mario Cervi, fondatore con, tra gli altri, Indro Montanelli della testata, dal titolo “Mandate in soffitta la nostalgia per i Borboni”  risalente al 2009.

Orbene, mi sarebbe piaciuto poter disquisire con Mario Cervi di ciò che scriveva nel suo articolo, ma purtroppo è venuto a mancare nel 2015.

Tuttavia il pensiero di Cervi non appartiene soltanto a lui, ma è mentalità comune tra la gente del Nord produttivo e trascinatore del Paese; è l’idea che ha del Sud la maggioranza, e per fortuna non la totalità, degli italiani di quella parte della Nazione.

Il mio intento, in queste poche righe, è quello di confutare questo pensiero comune e condiviso, basato su falsità e preconcetti.

“C’è una questione meridionale anche nella storia d’Italia” – Con questa affermazione si apre l’articolo; ma la questione meridionale è tipicamente italiana non “anche” italiana. Nessun paese al mondo ha una questione meridionale. La questione meridionale è nata in Italia con la sua unificazione.

“Lettura profondamente revisionista dell’Unità” – Quello che cresceva nel 2009, a due anni dai festeggiamenti del 150° anniversario dell’occupazione sabauda, non era una lettura profondamente revisionista dell’Unità; era ed è la verità storica di un processo cominciato esclusivamente per interessi economici inglesi e piemontesi. La versione revisionista è quella che ci hanno propinato (e continuano a farlo) nelle scuole italiane di ogni ordine e grado.

“Veneziani [il giornalista Marcello ndr] non è un revanscista meridionale. E’ piuttosto un indagatore intelligente sull’uomo del sud” –  Al di là delle intenzioni di Veneziani nel suo “SUD” (Mondadori), colpisce come si usi il termine “indagatore” come sinonimo di “studioso” di una specie particolare: “l’uomo del sud” una specie peculiare. Affermazioni di  Lombrosiana memoria.

“Ma allora in quel Paradiso [Il Regno delle Due Sicilie ndr] c’era la mafia, c’era il latifondo, c’erano i baroni prepotenti e gli sgherri criminali” – Non c’era la mafia come la intendiamo oggi come argomenta il “volumetto” di Felice Simonelli (Sulle origini del divario Nord-Sud in Italia – Guida), ma il latifondo ed i baroni sì, né più e né meno come nel resto d’Italia a quel tempo; e i baroni e in generale tutti i latifondisti assoldavano gente di malaffare per far valere i loro interessi nei confronti della povera gente, ma anche delle autorità territoriali e nazionali. Un esempio sono i “Bravi” ne “I Promessi Sposi” al soldo del barone di turno Don Rodrigo, di cui il buon Manzoni ha scritto certamente non perché frutto della sua fantasia; e non mi sembra che il romanzo fosse ambientato a Palermo o a Corleone. Per quanto riguarda il latifondo, nel Regno delle Due Sicilie era più diffuso semplicemente perché era il territorio ad essere molto più esteso rispetto ai ducati e ai principati italiani, o allo stesso Regno di Sardegna o del Lombardo Veneto. E i Borbone furono i primi in Italia a tentare di abolirlo in favore dei braccianti, riuscendoci, non senza resistenze, anche in Sicilia e inimicandosi in questo modo la classe nobiliare che poi li avrebbe traditi in favore dei Savoia, favorendone la conquista del Regno. La mafia “Cosa nostra” è tutta un’altra storia che però scaturisce proprio dalla caduta del Regno delle Due Sicilie nelle mani dei Savoia.

“Le arringhe pro-Sud sono farcite di statistiche: attestanti come anche dal punto di vista industriale la Lombardia fosse robetta, in confronto a Napoli. Sorvolando disinvoltamente, quelle arringhe, su problemini culturali, sociali, politici non di poco conto. Come il fiorire e l’affermarsi in Europa di nuovi principi di libertà, come le richieste di carte costituzionali (quando i Borboni le concessero obtorto collo sempre se le rimangiarono, non appena ne fu loro offerta l’occasione), come l’affacciarsi, dopo l’ancien régime, di un mondo nuovo. Ma non m’inoltro su questo terreno.” – Le statistiche esistono e sono tutte dimostrate. I principi di libertà e il mondo nuovo che si affermavano in Europa e a cui ci si riferisce sono i moti del ’20/’21 prima, del ’30/’31 poi e infine del ’48. Nel 1820 Ferdinando I concesse la Costituzione salvo poi ritirarla un anno dopo su pressione dell’Austria che con il il suo esercito (e non quello borbonico) sconfisse i rivoltosi siciliani. Il 10 febbraio del 1848 (prima di Carlo Alberto di Savoia che promulgò lo statuto il 4 marzo dello stesso anno) fu la volta di Ferdinando II che concesse la costituzione salvo poi sospenderla nell’agosto del 1849 a conclusione dei moti rivoluzionari a Napoli e in Sicilia. Questo perché ( si vadano a vedere i fatti accaduti nelle assemblee parlamentari del Regno che per brevità qui non tratterò) la classe dirigente politica Napoletana e Siciliana si dimostrò del tutto immatura nel gestire una simile concessione. Ha fatto bene quindi il Cervi a non inoltrarsi su questo terreno.

“Mi limito a proporre, un’ennesima volta, un interrogativo. Nello stesso volgere di anni furono sradicati dalla Penisola due domini, l’austriaco nel Lombardo-Veneto e il borbonico al Sud. Ancora oggi, dopo un secolo e mezzo, certe qualità di civismo, di rispetto della legge, di correttezza amministrativa del Lombardo-Veneto sono almeno in larga parte accreditate al lascito austriaco. Quale è il lascito che il Meridione ha avuto in eredità dalla meravigliosa struttura statale e dalle stupende leggi su cui si reggeva il regno borbonico? Si guardino attorno, i nostalgici dei Borboni, e se ne faranno un’idea. Senza che con questo io voglia negare gli errori, le ipocrisie, le brutalità, a volte le atrocità che contrassegnarono il processo unitario.” – E qui arriviamo al paradosso. Gli stessi regnanti austriaci definivano il popolo del Lombardo-Veneto un popolo di inetti, pelandroni e scansafatiche. Non posso disquisire sul lascito austriaco ai popoli del Nord, ma sicuramente la dominazione austriaca, durata per generazioni, avrà indirizzato in una certa direzione la coscienza popolare. La domanda da farsi tuttavia non è quale sia stato il lascito dei Borbone alle popolazioni del Sud, ma cosa i piemontesi abbiano fatto sopravvivere di quel lascito. La risposta è facile: nulla. Nulla perché è stato tutto sistematicamente sradicato. I sistemi legislativo e statale borbonico furono aboliti e sostituiti con la burocrazia piemontese di eredità francese.  Come si fa a pretendere che un popolo assoggettato con la violenza rispetti le leggi imposte da uno stato conquistatore il cui esercito sistematicamente ha passato per le armi uomini, donne, anziani e bambini, ha raso al suolo e bruciato interi paesi, ha violentato le donne nelle Chiese, ha deportato oltre cinquantamila ragazzi nel lager di Fenestrelle e li ha uccisi e sciolti nella calce viva? E potrei continuare….  In realtà la domanda da porsi è la seguente: quali vantaggi dal punto di vista industriale, sociale e politico ha ricevuto il Sud dall’occupazione piemontese? Rispettivamente la chiusura delle fabbriche, la disoccupazione e l’emigrazione, l’aumento della tasse. Ma poi diciamola tutta: se il Regno delle due Sicilie era talmente “inguaiato”, quale nobile ideale ha spinto Cavour ed i Savoia ad accollarsi un tale fardello? La risposta chiedetela alla vostra onestà intellettuale.  Io so soltanto che mi guardo intorno, come diceva Cervi, e vedo, oltre alla bellezza naturale di questi luoghi, la Reggia di Caserta, il Museo di Capodimonte, la Reggia di Carditello, il Real Orto Botanico, gli Scavi di Pompei e Ercolano…..e vogliamo continuare? Chi più ne ha più ne metta. Il lascito dei Borbone al popolo del Sud va al di là delle qualità di civismo, di rispetto della legge e di correttezza amministrativa; l’eredità lasciata dai Borbone è la coscienza di appartenenza di un popolo che davanti al nulla ha saputo ricominciare nei modi più diversi, non perdendosi d’animo, con molti sacrifici, magari abbandonando i luoghi natii per poi ritornarci avendo fatto fortuna altrove; una coscienza che molti scrittori, giornalisti, saggisti e storici stanno riscoprendo e stanno trasmettendo a noi “comuni mortali”, spingendoci a documentarci, a ricercare, a capire e ad appassionarci. Tutto ciò è molto più di quanto si possa immaginare e non può essere denigrato e calpestato dalla storiografia dei vincitori.

d.A.P.

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