Il venerdì pomeriggio, generalmente, gioco quella che a Napoli si chiama “a bullet”. Da non confondere con il sostantivo inglese che sta per “proiettile”, si pronuncia con l’accento lungo sulla “e” un po’ strascinata.
Insomma gioco alle scommesse sportive.
Bene, questo pomeriggio non potrò farlo perché il mio amico avvocato (che intanto ha accettato, con mio sommo piacere, di curare la rubrica che gli ho proposto – per chi non sapesse vada a leggere l’articolo contenuto in questo blog) mi ha inviato un messaggio ad ora di pranzo con un link a “ Il Venerdì di Repubblica”, sulla cui copertina campeggia un ritratto di Francesco II ed il titolo “Benvenuti in Neoborbonia”. Ho chiamato mia moglie (io ero a lavoro) per acquistare il giornale e tornato a casa, ho cominciato a leggere…e poi a scrivere questo articolo.
Vi anticipo una cosa: “a bullet”, questa volta nel significato inglese e ovviamente in senso metaforico, mi servirebbe per fare un buco al centro della rivista, i cui giornalisti hanno dimostrato di avere scarso senso storico, ma soprattutto di non voler far nulla per unire davvero il paese, che è nato diviso e continua ad esserlo da 156 anni. Tuttavia, non lo faccio per rispetto dell’effige di Francesco II. Di quei giornalisti, invece, salvo solo Luigi Irdi, che ha intervistato Pino Aprile e che ha risposto da par suo alle insinuazioni e parzialmente Giovanni de Luna ( il cui articolo ho letto per primo a pag. 25 della rivista) perché non ci vuole “la zingara” per capire il motivo dell’interesse dei grillini nei confronti delle rivendicazioni storiche del popolo del Sud. Si chiama, in gergo tecnico, strumentalizzazione. Al de Luna, eminentissimo storico di Battipaglia, docente all’Università di Torino (toh…ma guarda un pò: uno dei tanti meridionali prestati al Nord), tuttavia contesto di non giudicare i fatti con il cosiddetto spirito dell’epoca, che è fondamentale se si vuole avere uno sguardo imparziale sugli eventi. Se lo applicasse capirebbe il perchè della maggioranza monarchica al Sud nel referendum pro repubblica. E’ vero che il partito monarchico affondava le sue radici tra “i grandi agrari e nel notabilato politico locale” e ” nei quadri della burocrazia statale”, ma è anche vero che stiamo parlando della stessa esigua parte (la prima) della società meridionale alla quale i Savoia si rivolsero per unificare la penisola promettendo loro sottobanco la restituzione di quanto i Borbone gli avevano tolto (privilegi e terre) e delle figure (le seconde) che gli stessi Savoia misero nelle posizioni strategiche per assicurarsi il potere una volta compiuta la colonizzazione. Del resto quanto durò la monarchia sabauda in Italia? La matematica dice 85 anni. E’ plausibile, quindi, che quella parte della società, ed i loro “eredi”, non volesse rinunciare così presto ai frutti di un tradimento che aveva loro garantito la sopravvivenza. Al Sud (lei dovrebbe saperlo caro De Luna) si direbbe ” chi lascia la strada vecchia per quella nuova……”: nel primo caso, con i Borbone, si conosceva la strada nuova con la quale si era scesi a patti; nel secondo no! Se poi il De Luna si mette allo stesso livello dei 5 stelle, strumentalizzando egli stesso la storia e piegandola alla sua visione fascista, allora resta poco da dire: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Non fu, eminente professore, l’esecuzione di Eleonora Fonseca Pimentel a consegnare il Sud a una classe dirigente corrotta e parassitaria “che resta ancora oggi [certamente – ndr] il suo vero, grande nemico”, ma chi seppe corromperla e non la rimpiazzò, una volta ottenuto il suo scopo, con figure di spessore e moralmente integre.
Detto questo, il titolo a pagina 16 già la dice lunga: “La carica dei borboncini”. Ora, se i 101 erano Dalmata suppongo che i barboncini (il doppio senso non è molto velato), siamo noi. L’autore dell’articolo, Angelo Carotenuto (che non conosco, ma per inciso credo sia annoverabile tra i meridionali – lui sì – che tifano non colorati – la peggio specie) afferma, in apertura, che “mentre l’America vandalizzava le statue di Colombo, e la Catalogna si ribellava a Madrid […] il Mezzogiorno d’Italia ha scelto [perché non aveva nient’altro di meglio da fare – ndr] per obiettivo il Risorgimento”. Il pretesto è la richiesta della Giornata della Memoria delle vittime dell’Unità d’Italia promossa dal M5S in Puglia e al vaglio anche nelle altre regioni (del Sud), Campania compresa. Il 13 febbraio però, viene ricordato non perché Gaeta fu l’ultima a cadere sotto l’esercito savoiardo, come crede Carotenuto, ma perché Francesco II andò in esilio a Roma. L’ultimo baluardo borbonico a cadere fu Civitella del Tronto (Teramo) il 20 marzo 1861. Secondo Carotenuto si tratta ( e lo fa dire a Ghirelli) di uno “Schermo vittimistico dietro cui si cela la classe dirigente”. Mi scusi, ma di quale classe dirigente sta parlando? Quale classe dirigente da 156 anni a questa parte ha considerato il Sud un territorio da valorizzare nelle sue peculiarità e professionalità, piuttosto che da porre sotto un regime assistenzialistico per giustificarne il secolo e mezzo di drenaggio di risorse al nord? Le nostre richieste per Carotenuto, sono solo frutto del sentimentalismo tipicamente mediterraneo; come dire … un rivolgere lo sguardo alla leggenda di un passato dove si viveva bene. Questo sentimentalismo sarebbe all’origine del risveglio della massa meridionale; uno “sposalizio tra archivi e populismo, uso della memoria e ricerca del consenso”. Beh, si sa che quando non si è conformati al potere dominante, oggi va di moda dire che si è populisti…con tutto il rispetto per chi lo è davvero. Ma se il movimento neo – borbonico (di cui io non faccio parte) nasce nel 1993 non è a causa di “mani pulite” che ci ha privato dei partiti di potere (ho già letto tante volte questa bufala – per usare un eufemismo); nasce in quell’anno, per pura coincidenza, come espressione di una coscienza popolare risorta (questo sì che può chiamarsi Risorgimento), grazie anche e soprattutto al lavoro di studiosi e storici che già da trent’anni (uno per tutti Zitara) si dedicavano in tempi difficili, per la tipologia di ricerca da condurre, a far emergere la verità storica. Il successivo tentativo di ridicolizzare i neo-borbonici, poi, sa tanto di “pazziella”: Carotenuto la butta sullo sport e sul Napoli tanto caro a noi napoletani, riducendo il tutto a puro folklore. Ma la storia non è folklore e non lo sono neanche l’identità di un popolo e le sue tradizioni. Sono queste che noi (ri)vogliamo; sono queste che connotano la nostra appartenenza a qualcosa di più grande, che non può essere etichettato “meridionale”(ché se vai a leggere nei dizionari è diventato sinonimo di inferiore). A noi di Maradona interessa poco: il giusto; e Napoli non è una città ribelle, caro Carotenuto, come lei afferma; Napoli (città nuova dal greco) è una città che, volenti o nolenti, inizia a dare di nuovo fastidio a livello nazionale e quindi se prima la si denigrava per la camorra e l’immondizia, adesso la si deride per le sue tradizioni millenarie. E poi, quale sarebbe l’incuria intorno al museo di Pietrarsa? Ma lei c’è stato? Finirà che dovremo ringraziare i Savoia, un giorno, se il loro esercito non ha distrutto la statua di Re Ferdinando che vi campeggia. Poche parole per le citate, dal Carotenuto, professoresse Marmo (che farebbe bene a continuare a scrivere romanzi con lo pseudonimo di Elena Ferrante) e De Lorenzo, il cui sapere accademico e di regime, insieme al ruolo istituzionale che ricoprono, ne offuscano la vista e soprattutto la ragione. A trascorrere tanti anni con una convinzione nel cuore e nella mente, senza essere minimamente aperti a ciò che accade intorno, si finisce per assumerla (la convinzione) come verità assoluta. Tuttavia sono d’accordo con la Marmo quando dice che “il meridionalismo”(vorrei sapere chi ha coniato questo termine), ma io direi la battaglia per la cultura del Sud (dove cultura sta per conoscenza di chi non lo conosce veramente), “è la richiesta di una politica che sviluppi il Sud in modo egualitario”; per niente d’accordo, invece, quando afferma che la nostra versione (reale) della storia è “mitologia inventata” dato che i meridionali soffrono di un complesso di inferiorità (anche la Marmo è napoletana come Carotenuto…fatevi una domanda e datevi una risposta, direbbe Marzullo).
Passo così a leggere l’articolo di Sergio Rizzo (pag. 21), vicedirettore di Repubblica. Titolo: “Quel Reame felice che esiste solo nelle bufale”. E qui mi sono posto due domande: una all’inizio e una alla fine dell’articolo.
La prima: ma Rizzo (il cognome la dice lunga) di dov’è? E così ho cercato in rete la sua biografia. Il sig. Rizzo, nato a Ivrea, (Piemonte che più Piemonte non si può) è di origini lucane. Il Padre, nato in provincia di Potenza, era l’editore e il direttore del quotidiano “Politica Bancaria”. Rizzo sostiene nel suo articolo, che la faccenda del Sud ridotto a colonia del nord, sia solo uno slogan celebrato nei bestsellers che trattano il tema (forse Aprile???) e che sono diventati, per noi che li leggiamo, verità storiche incontrovertibili. Per lui, che invece ci esorta ad usare il buonsenso, il Regno delle Due Sicilie, nel 1861, non poteva essere la terza potenza mondiale: dove mettere Inghilterra, Francia, Spagna, Austria, Portogallo, Russia, Stati Uniti e Cina? Mi scusi Rizzo: il Giappone no? Beh allora vediamo di usare il buonsenso e di sfoltire un po’ la lista delle nazioni. In primo luogo, nessuno dei famigerati propagandisti del Sud ha mai affermato che il Regno delle Due Sicilie fosse la terza potenza mondiale (abbiamo fatto fuori già Stati Uniti, Russia, Cina e … Giappone). Tutti sostengono invece che fosse la terza potenza europea per marina militare e la seconda per marina mercantile. Abbiamo eliminato l’Austria, che all’epoca già viveva la sa fase declino e la questione ungherese, successivi alla perdita del Lombardo-Veneto; mentre per quanto riguarda la Spagna … Rizzo ha mai sentito parlare dell’Invincibile Armata? Le dice niente il 1588? Da quest’anno in poi le navi spagnole nel Mediterraneo commerceranno sempre di meno e saranno militarmente assenti, orientandosi al Sud America. Perché? Lo chieda agli Inglesi! In quanto al Portogallo non ha mai avuto velleità nel Mediterraneo e la sua economia nasce e si sviluppa con le colonie d’oltremare. Basta conoscere la geografia!
In merito alle statistiche di Svimez e Banca d’Italia in occasione dei 150 anni della colonizzazione, sono state fatte, appunto, per i 150 anni … della colonizzazione. La storiella dell’analfabetismo al Sud, che esse dimostrerebbero, è roba da sussidiario elementare. Rizzo cita queste statistiche relative al 1871. Però i Piemontesi sono sbarcati in Sicilia dieci anni prima! E dieci anni prima chi voleva andare all’Università a studiare Chimica, Medicina, Fisica, Scienze Naturali veniva a Napoli; dal Regno come da tutta Italia. Fino a dieci anni prima l’istruzione primaria nel Regno veniva garantita per l’80% dalle istituzioni religiose che la offrivano gratuitamente, sostenendosi con le proprietà (immobili, terreni coltivati etc.) Dieci anni dopo di tutto questo non rimaneva niente e il nuovo stato nulla fece per garantire l’istruzione a Sud (in dieci anni … e poi per altri 146). L’Economia Politica, l’Archeologia, la moderna Storiografia, la Sismologia (e potrei continuare) sono nate a Napoli! Lo sa Rizzo qual è la regione a più alto rischio sismico d’Italia? La Lombardia! Perché? Perché lì sono stati trasferiti 37 milioni di euro dei 110 stanziati dallo stato per l’adeguamento delle scuole. Al Sud? Il 3% del totale. Infatti qui da noi terremoti … mai! Però nel 1908 gli edifici costruiti secondo il codice borbonico, hanno resistito (e ancora esistono e resistono) al terremoto più devastante che Messina abbia mai conosciuto. Quanto all’efficienza dell’amministrazione borbonica lasciamo parlare Giustino Fortunato come fa Rizzo : “Non c’è dubbio che la nostra condizione sotto i Borbone fosse profittevole e questi [i piemontesi – ndr] ci hanno rovinato. Sono porci, molto più porci dei porci nostri”. Oppure possiamo scomodare Nitti che ne “Il bilancio dello Stato dal 1862 al 1897” sostiene che l’Italia del Regno delle due Sicilie portava in dote “minori debiti e più grande ricchezza pubblica” e rimarcava come si ebbe un “esodo di ricchezza dal Sud al Nord”. Entrambi (Fortunato e Nitti) meridionalisti e liberali. Vada a leggere, se ha tempo sig. Rizzo, lo studio condotto da Vittorio Daniele e Paolo Malanima. Capirà che le statistiche della Banca d’Italia sono storielle di regime. Vada all’archivio del Banco di Napoli e osservi come in meno di un anno il generale di rosso vestito derubò le sue casse di circa dieci milioni di lire in oro per fondare a San Marino (c’è il suo nome negli archivi tra i soci fondatori) il Credito San Marinese (adesso sapete perché San Marino non è Italia e l’Italia non prese San Marino che voleva a tutti i costi unirsi alla nuova nazione). Lei parla delle infrastrutture, prevalentemente ferrovie, nettamente inferiori in chilometraggio rispetto al nord. E ancora dobbiamo rifarci alla geografia . Il Regno delle due Sicilie è circondato per tre lati su quattro da mare. Ragionevolmente i Borbone svilupparono la flotta mercantile, già dai primi del settecento con l’intento di rendere competitivo il commercio con le maggiori potenze marittime europee. Inoltre i porti erano molto sviluppati e all’avanguardia e tutte le industrie e le maggiori città del Regno erano ben collegate al mare sia da strade che da ferrovie (si veda ad esempio Mongiana nel caso della ferrovia).
Poi però Rizzo, in conclusione, mi spiazza! Cito: “… la classe dirigente della nuova Italia fallì clamorosamente. E in modo consapevole. Il Sud venne trattato alla stregua di un territorio depresso [che non era-ndr] conquistato [questo sì – ndr], dove le tensioni sociali vennero affrontate solo militarmente, con repressioni e leggi speciali”. Strabuzzo gli occhi! Ho letto bene? E’ lo spirito lucano di Rizzo che prende il sopravvento? E ancora: “Nei 25 anni successivi, gli investimenti pubblici in infrastrutture furono nettamente inferiori a quelli nel resto del paese [ancora oggi – ndr] […] Si fece insomma l’opposto di ciò che si sarebbe dovuto fare per realizzare un unico Paese. La conseguenza fu il progressivo decadimento delle attività industriali”. Ma Rizzo, mi scusi … ma è proprio quello che diciamo noi! E poi aggiunge che nel ventennio fascista le cose peggiorarono ulteriormente…ma no?
E allora mi sorge la seconda domanda (ricordate? Erano due!) quella di fine articolo: mi scusi Rizzo … non capisco… allora tutto quello che ha scritto (e mi ha fatto scrivere) finora, che senso ha? Che senso ha avuto per lei scrivere quelle righe, se alla fine dell’articolo riconosce l’errore di fondo dell’unità d’Italia: che fu, cioè, unità ed eguale trattamento solo per il Nord!
Allora ci penso e decido che se i risultati sportivi sui quali volevo scommettere, e che ho trascritto su un foglietto, saranno esatti, chiederò a Repubblica un risarcimento dei danni!
d.A.P.