“Nato nel 1980. Vive a Pavia (è ghisleriano) dopo essere vissuto a Gravina in Puglia, Napoli, Modena e Oxford. Scrive di religione, editoria, illuminismo, calcio e Inghilterra; anche su Tempi e su Quasirete della Gazzetta dello Sport. Libri: Voltaire cattolico (Lindau) e Ho visto Maradona (Ediciclo)”.
Chi è costui? Si chiama Antonio Gurrado e scrive anche su “Il Foglio” dal cui sito web è tratta questa sua breve biografia. Purtroppo, per lui s’intende, scrive cazzate; non sulla religione, sull’editoria, sull’illuminismo, sul calcio o sull’Inghilterra. No, in questo sarà bravissimo e nessuno potrà mai contestargli nulla, ragione per la quale l’ha anche scritto in quelle quattro righe. Le cazzate le scrive sicuramente quando si occupa di Storia del Sud e di Sud Italia in generale; argomenti che non rientrano evidentemente nelle sue competenze, tanto da non menzionarli nelle quattro righe di cui sopra, ma con le quali sembra volersi cimentare comunque. Di uno così, dalle mie parti, si dice che anche le pulci hanno la tosse. Ma cosa avrà mai scritto su “Il Foglio” il ghisleriano Gurrado?
In sintesi neanche i Borbone sono riusciti a cambiare l’indole pelandrona dei meridionali.
Cominciamo da lontano, il 23 marzo scorso, quando l’ex collegiale scrive che il miglior antidoto a Di Maio è Ferdinando IV di Borbone. Il “trattato” vuole dimostrare come al reddito di cittadinanza, che ci fa rimanere sui nostri divani a grattarci la pancia, sia preferibile il lavoro come già aveva capito il sovrano delle Due Sicilie. A tal scopo Gurrado riporta la bellissima e fortunata esperienza delle seterie di San Leucio, di come siano state operose e famose e di come “con l’Unità d’Italia, decaddero la fabbrica e l’utopia di un meridione operoso e autosufficiente” tanto da far prendere alle elezioni, in quel collegio uninominale, il 54% al M5S. In sintesi neanche i Borbone sono riusciti a cambiare l’indole pelandrona dei meridionali.
Gurrado però dimostra non solo di non conoscere la storia, ma di copiare anche male da Wikipedia. Se avesse letto con attenzione la famosa enciclopedia, infatti, avrebbe imparato che i possedimenti di San Leucio, erano un feudo dei conti di Acquaviva costituito da un palazzo e da un casino di caccia che non era per niente “ozioso”. I Borbone ne vennero in possesso nel 1750 e lo trasformarono in romitorio per i reali. Nel 1778 Carlo Tito, primogenito di Ferdinando ed erede al trono, morì di Vaiolo. Fu questo tragico evento a condurre il sovrano alla decisione di erigere un ospizio per i poveri della provincia che avrebbero lavorato in un opificio al fine di migliorare le loro condizioni di vita. In fase di start-up, si direbbe oggi, il sovrano fece giungere sul posto alcune imprese dal nord Italia, tra le quali la Brunetti di Torino, e rapidamente quella piccola colonia crebbe con nuovi edifici, una parrocchia, alloggi per gli educatori e dei padiglioni per i macchinari.“L’organizzazione era affidata a un Direttore generale affiancato da un Direttore tecnico che monitorava la condizione degli impianti. L’istruzione tecnica degli operai era affidata al Direttore dei Mestieri ciascuno per ogni genere”. (Tescione G. (1932) Significato civile e politico della nostra arte della seta, Napoli, Russo, p. 17)E ancora: “Le commesse di seta provenivano da tutta l’Europa: ancor oggi, le produzioni di San Leucio si possono ritrovare in Vaticano, al Quirinale, nello Studio Ovale della Casa Bianca: le bandiere di quest’ultima e quelle di Buckingham Palace sono fatte con tale materiale. Si ritrovano testimonianze dell’arte anche nelle celebrazioni e nelle festività popolari, specialmente nel capoluogo partenopeo, come ad es. la festa di Sant’Anna a Porta Capuana e la Madonna del Carmine nell’omonima Basilica al Mercato” (Aa.Vv., (1972) Storia di Napoli, Napoli, Società editrice storia di Napoli, vol. X, p. 818).
Ai lavoratori delle seterie era, infatti, assegnata una casa all’interno della colonia, ed era, inoltre, prevista per i figli l’istruzione gratuita potendo beneficiare, difatti, della prima scuola dell’obbligo d’Italia che iniziava fin da 6 anni e che comprendeva le materie tradizionali quali la matematica, la letteratura, il catechismo, la geografia, l’economia domestica per le donne e gli esercizi ginnici per i maschi
E qui mi sovviene un dubbio: se Gurrado scrive davvero di religione e di Inghilterra, come mai non è al corrente della unicità e del prestigio dei manufatti leuciani? Vabbè… sorvoliamo. Nel 1778 fu costituita la comunità della Real Colonia di San Leucio, basata su norme proprie. Alle maestranze locali si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi, piemontesi e messinesi che si stabilirono a San Leucio richiamati dai molti benefici di cui usufruivano gli operai delle seterie. Ai lavoratori delle seterie era, infatti, assegnata una casa all’interno della colonia, ed era, inoltre, prevista per i figli l’istruzione gratuita potendo beneficiare, difatti, della prima scuola dell’obbligo d’Italia che iniziava fin da 6 anni e che comprendeva tutte le materie tradizionali: matematica, letteratura, catechismo, geografia, economia domestica per le donne e educazione fisica per gli uomini. I figli erano ammessi al lavoro a 15 anni, con turni regolari per tutti, ma con un orario ridotto rispetto al resto d’Europa. Le abitazioni furono progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell’epoca, per far sì che durassero nel tempo (abitate tuttora) e fin dall’inizio furono dotate di acqua corrente e servizi igienici, mentre la produttività era garantita dai bonus in denaro. Nel 1789 Ferdinando IV promulgò gli Statuti di San Leucio scritti dal Massone Planelli e da illuministi come Mario Pagano. Ma Gurrado non scriveva anche di Illuminismo? Vabbè… sorvoliamo.
Altro che utopia: il Sud operoso ed autosufficiente era una realtà che però andava eliminata a favore dei conquistatori.
Poi arrivò il piemontese e nel 1862 che, nonostante il perfezionamento del nuovo tessuto “Jacquard”, decise di chiudere la fabbrica per poi riaprirla quattro anni dopo, concedendola in locazione ad imprese private settentrionali e con condizioni di lavoro durissime, salari dimezzati e Statuti di San Leucio stralciati. Stessa sorte che toccò a Pietrarsa dove, per di più, i Sabaudi spararono sugli operai che manifestavano pacificamente contro la chiusura dell’opificio. Fecero 400 vittime innocenti, con la connivenza del napoletano Nicola Amore, al quale oggi a Napoli è anche intitolata la piazza conosciuta come “I Quattro Palazzi”. Ecco come finì, per usare le insensate parole di Gurrado, “l’utopia di un meridione operoso e autosufficiente”. San Leucio e tutto il Sud con i suoi opifici con le sue eccellenze furono economicamente (se non letteralmente, vedi Mongiana) rasi al suolo da una banda di ladri e malfattori galeotti, al soldo delle potenze europee, che vennero nelle nostre fabbriche per deportare al Nord macchinari e maestranze, dimostrandosi del tutto incapaci di fare impresa. Altro che utopia: il Sud operoso ed autosufficiente era una realtà che però andava eliminata a favore dei conquistatori. Tutto ciò spiega anche perché il successivo articolo del ghisleriano, è una conclamata stupidaggine (sostituite pure stupidaggine con ciò che vi pare).
Il 12 settembre scorso “Il Foglio” pubblica un articolo dal titolo “Nostalgia Borbonica” dove Gurrado discetta della decisione del Comune di San Giorgio a Cremano di intitolare la piazza del Municipio a Carlo III di Borbone, in luogo del precedente Vittorio Emanuele III. L’evenienza che i Borbone succedano ai Savoia, ormai può essere presa in considerazione esclusivamente nella toponomastica, ma sicuramente Gurrado deve tacere e non addentrarsi in faccende storiche delle quali nulla sa e mai potrà sapere, dato il pregiudizio innato nei nostri confronti che conduce queste siffatte persone a voler addirittura interferire negli affari del Comune di San Giorgio a Cremano.
Ciò che sta accadendo dalle nostre parti non sono rigurgiti, ma la riscoperta della storia del nostro popolo, delle sue tradizioni, della sua cultura della sua unità! Perché noi eravamo già uniti, voi eravate solo dominati
Dov’è lo scandalo? Perché si infervora così tanto? Di cosa ha paura Gurrado? Forse che la bandiera gigliata sul municipio di Pimonte urta la sua sensibilità? E di grazia Gurrado quando sarebbe venuto lei a Pimonte o quale interesse nutre nei confronti di questo piccolo e grazioso centro meridionale? Ciò che sta accadendo dalle nostre parti non sono rigurgiti, ma la riscoperta della storia del nostro popolo, delle sue tradizioni, della sua cultura della sua unità! Perché noi eravamo già uniti, voi eravate solo dominati! Come scrive Gigi di Fiore su “Il Mattino” del 12 settembre, questa decisione conferma “la voglia di valorizzare la storia autonoma del Mezzogiorno. Un segno dei tempi di mutamento socio-culturale nel Sud, che consolida una sensibilità accresciuta per un periodo, quello delle Due Sicilie, che non viene più considerato tutto il male e il buio possibile” come lei ed i suoi colleghi, ancora affermate. Il cambio di nome non sottintende, ma afferma a gran voce che i guai della Campania e del Sud tutto, sono responsabilità dei Piemontesi e non dell’Italia. Prima dei Sabaudi, l’Italia volevano unirla i Borbone (Bologna 1832), ma federalmente, lasciando ai Piemontesi il Nord. Solo che il Sabaudo rifiutò, pugnalando alle spalle, d’accordo con il Regno Unito, i Borbone qualche anno dopo. A proposito, ma Gurrado non scrive anche di Inghilterra? Vabbè… sorvoliamo.
Se il Regno delle due Sicilie non era il paradiso in terra, certamente non era l’inferno che voi altri dipingete: questo è il senso della nuova Piazza Carlo III di Borbone.
Il vero problema, tuttavia, è che lei, caro Gurrado, ignora tutto questo, a causa della sua superficialità che la porta ad affrontare un argomento come quello della storia del Sud dall’esclusivo punto di vista pregiudiziale. Se il Regno delle due Sicilie non era il paradiso in terra, certamente non era l’inferno che voi altri dipingete: questo è il senso della nuova Piazza Carlo III di Borbone. E badi bene Gurrado che nessuno si rifugia in un passato astratto: le stragi, il sangue innocente, i massacri e le ruberie alla povera gente e al Banco di Napoli (i cui soldi finirono sui conti-correnti sanmarinesi dei “padri della patria”, trasformano la piccola e decadente repubblica nella Svizzera dei massoni italiani), sono tutti accadimenti storici documentati e reali. E badi, altresì, che nessuno vuole sgravarsi delle proprie responsabilità, ma altrettanto vuole che ognuno si assuma le proprie. I se e i ma se li tenga pure stretti lei nel suo taccuino. Noi abbiamo una storia della quale andiamo fieri ed orgogliosi e né lei né altri personaggi come lei potranno mai infangarla o dileggiarla. La sua storia personale di italiano comincia nel 1861; la nostra dura da oltre un millennio. La prego, allora: taccia!