Con una vera e propria azione da guerra-lampo nazi-leghista, la ministra Stefani annuncia, non ai ministri suoi colleghi, ma alle agenzie di stampa, di sottoporre comunque all’approvazione del consiglio di questa sera, le bozze sull’autonomia. L’ultima occasione per Di Maio e i Cinque Stelle per dire da che parte stanno.
Le elezioni in Abruzzo hanno scosso le coscienze pentastellate? No, le hanno rese silenti e letargiche come afferma il governatore De Luca. E così, poche ore dopo aver scritto del primo passo verso l’affrancamento dal ricatto leghista, mi ritrovo a dover ritrattare tutto a causa dei metodi nazi-fascisti della ministra Stefani e dell’inettitudine pentastellata. La Stefani non si è neanche degnata di avvisare i suoi colleghi, bensì ha reso nota la sua decisione, di portare ugualmente al CdM di questa sera le bozze sull’autonomia, alle agenzie di stampa. Non dedicherò altro tempo a spiegarvi perché l’autonomia regionale alle condizioni nordiste sia un danno per il Sud; ne ho parlato abbastanza, e molto meglio di me lo hanno fatto economisti e giornalisti del calibro del prof. Viesti e di Marco Esposito che, in buona compagnia, su Il Mattino di oggi, spiega in termini elementari, e per chi tra i leghisti meridionali non lo avesse ancora capito, perché il regionalismo concepito in Veneto non fa gli interessi italiani, ma soltanto quelli veneti, o lombardi che dir si voglia.
La funzione del Sud sarà esclusivamente quella di serbatoio dal quale attingere e spremere ogni risorsa, economica o umana che sia, affinché da Roma in su sia garantito un certo tenore di vita. In altre parole la giustizia sociale che il Nord ha preteso, pretende e pretenderà, la si otterrà sulla nostra pelle!
Oggi voglio dire, invece, dell’ultima occasione che la prepotenza nordista offre a Di Maio & C.: quella di essere fedele al suo mandato nei confronti del 33% di italiani del Sud che lo ha votato. Perché sembra proprio che i cinque stelle abbiano dimenticato le ragioni del loro successo il 4 marzo; e non sto parlando del RdC. Sto parlando di un ragazzo di 32 anni che ha saputo cogliere le problematiche e le attese (per troppo tempo disattese) di un vasto territorio, il nostro, considerato ad uso e consumo delle classi politiche tradizionali, dei loro interessi e delle loro promesse nei confronti dei potentati industriali e lobbistici del nord. Un territorio pari a un terzo della nazione per il quale in 158 anni nessuna politica reale di sviluppo è stata mai varata: solo e sempre interventi straordinari e/o assistenzialistici, camuffati con nomi altisonanti, che hanno radicato nella coscienza sociale la falsa consapevolezza di una inferiorità, indotta ai fini di impedire l’emergere del buono e lasciarlo marcire insieme al cattivo, arricchendo allo stesso tempo le tasche di chi, sovvenzionato anche dai soldi dei meridionali, dal Veneto e dalla Lombardia veniva a costruire capannoni, assumeva persone, per poi abbandonare tutto e tutti una volta terminate le agevolazioni. Possono lor signori negarlo? Possono incolpare per questo la congenita inettitudine meridionale? Questa è stata, è e sarà, se venisse approvato il regionalismo nordista, non la condizione, ma la funzione del Sud! Esclusivamente una funzione di serbatoio dal quale attingere e spremere ogni risorsa, economica o umana che sia, affinché da Roma in su sia garantito un certo tenore di vita. In altre parole la giustizia sociale che il Nord ha preteso, pretende e pretenderà, la si otterrà sulla nostra pelle! Nulla è cambiato, ma potrà solo peggiorare!
Ha avuto paura, Di Maio; paura di perdere subito, ciò che aveva conquistato. E pur di governare è sceso a compromessi, con il leghista, che nel tempo, neanche tanto, gli si sono rivoltati contro.
C’è da comprenderlo Di Maio, ma fino a un certo punto! Perché se è vero che è silente e letargico dal dopo Abruzzo, è anche vero che non ha mai dato uno scossone, dal 4 marzo in avanti, a Salvini per farlo stare al suo posto, per ridimensionarlo. Ha avuto paura, Di Maio; paura di perdere subito, ciò che aveva conquistato. E pur di governare è sceso a compromessi, con il leghista, che nel tempo, neanche tanto, gli si sono rivoltati contro. È vero che l’autonomia è nel contratto di governo, ma come scrive Massimo Adinolfi su Il Mattino di oggi in quel dannato contratto non si legge “che tutto questo debba avvenire quasi senza preavviso e comunque senza tante chiacchiere. Cioè, per dirla con un po’ più di considerazione per una materia tanto fondamentale: senza farne oggetto vero di un autentico dibattito pubblico (mentre altri temi – vedi alla voce Tav – vengono ridiscussi fino alla nausea, qualunque cosa sia scritta nel contratto)”. E Adinolfi continua: “E’ la debolezza di Di Maio, in un angolo dopo il voto e senza una prospettiva diversa da quella di rimanere al governo, a suggerire a Salvini di passare senz’altro all’incasso. I Cinque Stelle, d’altra parte, sono di gran lunga il primo partito del Mezzogiorno, dove è forte l’ostilità nei confronti della «secessione dei ricchi», eppure, nel grande bisogno di novità che li ha portati al clamoroso risultato elettorale del 4 marzo scorso, non sono riusciti a riversare le ragioni di un nuovo meridionalismo. Così non sono riusciti a star dentro un processo, che ora rischia di arrivare ad una conclusione senza che se ne siano comprese, affrontate e discusse le conseguenze”.
Il governo può e deve cadere di fronte al regionalismo in salsa leghista, proprio in ragione di quella giustizia sociale della quale Di Maio & C. dicono di essere i garanti! E non sarebbe un fallimento ma l’ultima difesa possibile in ragione della tutela degli interessi dell’Italia intera e quindi anche di quella meridionale.
Ed è proprio qui che casca l’asino! Di Maio non deve per forza rimanere al governo; perché rimanendoci a queste condizioni rischia di commettere un clamoroso harakiri politico. Rischia di moltiplicare in tutto il Sud l’effetto Abruzzo, mentre ha l’opportunità giusta per non rispettare il contratto e riguadagnare la stima e i voti meridionali, anche e soprattutto in vista delle europee. Il governo può e deve cadere di fronte al regionalismo in salsa leghista, proprio in ragione di quella giustizia sociale della quale Di Maio & C. dicono di essere i garanti! E non sarebbe un fallimento ma l’ultima difesa possibile in ragione della tutela degli interessi dell’Italia intera e quindi anche di quella meridionale. Questa presa di posizione, e solo questa, riqualificherebbe Di Maio ai nostri occhi, per i quali adesso è soltanto una figura di secondo piano, stretto com’è, tra il martello di Salvini e l’incudine delle promesse disattese. Per meno di questo il Movimento 5 Stelle è destinato a scomparire molto più rapidamente di quanto non sia capitato al PD.
PD che va “ringraziato” per aver reso possibile con le sue scelte scellerate l’attuale situazione politica italiana “non solo per la sua acquiescenza di oggi ai desiderata dell’Emilia-Romagna, o per i preliminari delle “intese” siglati ieri l’altro dal governo Gentiloni. Ma per le sue oscillazioni, approssimazioni e confusioni trentennali sulle questioni del federalismo e della sussidiarietà, nonché per la sciagurata riforma del 2001 del titolo V della costituzione fatta già allora (e per giunta a maggioranza, come le riforme costituzionali non vanno mai fatte) per inseguire la Lega e i suoi elettori”. Lucida sintesi di Ida Dominijanni su Internazionale.it.
Caro Di Maio, lei e il suo movimento state per ratificare la ghettizzazione del Sud Italia in barba ai vostri stessi principi fondanti. Ricordi bene: chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso ! (Che Guevara)
La lunga gestazione della “secessione dei ricchi” ha quindi una sua origine ben precisa: la volontà piddina di racimolare voti nel bacino leghista… e fanculo lo stato sociale!
Caro Di Maio, lei e il suo movimento state per ratificare la ghettizzazione del Sud Italia in barba ai vostri stessi principi fondanti. Ricordi bene: chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso ! (Che Guevara)
d.A.P.