Continua l’opa della Lega Nord sul Sud. Molise, Abruzzo, Sardegna (che sud non è ma ce l’hanno infilata perché povera) e di recente la Basilicata. Ma chi al Sud ha votato Lega Nord è davvero convinto che questa possa fare il bene del Meridione? Davvero pensano gli elettori che i leghisti siano venuti a salvarci? È una menzogna lunga 158 anni, per chi ha memoria, che ha i suoi riverberi, locali ed europei, nella secessione dei ricchi e nel MoU con la Cina e che denota lo storico connotato “estrattivo” della politica italiana nei confronti del Mezzogiorno.
158 anni fa un esercito straniero invase il Regno delle Due Sicilie ufficialmente per “liberarlo dalla sua arretratezza”. In realtà tutti coloro che hanno un po’ di sale in zucca conoscono la verità dei fatti che ancora oggi patiamo sulla nostra pelle. E 158 anni dopo, francamente, non pensavo di riassistere alla stessa storia seppur con connotati diversi; non immaginavo di ritrovarmi di fronte agli stessi tradimenti, di fronte alle stesse promesse inique di un nuovo millantatore proveniente dal nord che compra voti, e non più soldati, al Sud. Perché, cari compatrioti, dal Molise alla Basilicata non si è trattato di scegliere il male minore, ma la peggiore delle ipotesi per governare le nostre regioni. Davvero bisogna dare atto a Salvini di saper fare campagna elettorale (e solo quella) puntando sul malcontento della gente che in modo particolare al Sud è sempre e sistematicamente stata tradita dai mandati affidati a chi doveva rappresentarla, PD in testa. Bisogna altresì constatare l’eterna immaturità dell’elettorato meridionale che di fronte alle promesse roboanti, senza giudicare il pulpito dal quale esse provengono,non riesce proprio e smettere di essere credulone. Tuttavia la responsabilità è di chi ha governato e non di chi ha votato. Si è votato Lega Nord, al Sud, perché gli altri partiti, PD in testa, hanno toppato per 20 e passa anni, occupandosi esclusivamente delle proprie tasche e riempiendo di fumo (il più delle volte tossico) gli occhi e i polmoni degli elettori. Si è votato Lega Nord, al Sud, anche perché i 5 Stelle in campagna elettorale (quella per le politiche) si sono caricati le spalle di responsabilità troppo più grandi di loro che in breve li hanno affossati. Responsabilità che il buon Salvini, dal Molise alla Basilicata, in campagna elettorale ha evitato accuratamente di assumersi per scaltrezza e per ignoranza.
Sissignore, questa è ormai l’informazione italiana: degna erede di una propaganda che conosciamo bene, chi ha memoria, e per la quale mi meraviglio non ci sia un ministero ad hoc. O forse c’è e si chiama degli interni, volendolo intendere della propaganda interna, considerando come la scena politica nazionale e televisiva sia monopolizzata dal leader della Lega Nord con programmazione scientifica.
E allora? E allora, per dirla con Troisi, non ci resta che piangere! E piangeremo per tanto tempo. Piangeremo perché dal Molise alla Basilicata nelle liste del centro destra a trazione leghista, si sono candidati i trasformisti della prima e dell’ultima ora o i loro fidati compari. Per intenderci si sono candidati gli stessi, o chi per loro, che tanto male avevano governato quelle stesse regioni e che sono saltati sul carro leghista per tornaconto personale (vedi, in ultima istanza, i piddini in Basilicata), mentre davvero c’è chi crede, tra l’elettorato, di averli mandati a casa avendo votato Lega Nord. Ho paura che costoro sconteranno una forte delusione e si renderanno conto, spero, finalmente, del vero male della politica italiana meridionale: stagnare perennemente in un gattopardesco cambiamento. Perché, sempre per restare in Basilicata, abbiamo assistito all’affermazione di un partito del nord alleato dei petrolieri e dei grandi gruppi economici che hanno ridotto in povertà la regione italiana con maggiori potenzialità economiche e naturali. Una regione che proprio a causa di queste potenzialità vede il proprio territorio martoriato da compagnie senza scrupoli che estraggono petrolio eludendo tutte le misure di sicurezza, contaminando falde acquifere (di cui la Basilicata è piena) e bacini artificiali come il Pertusillo con i pozzi di reinnesto e con la dispersione di greggio nel terreno. Una regione che sconta un’emigrazione giovanile da record da oltre 15 anni, gli stessi anni durante i quali la Lega Nord ha governato il paese tentando di ridurre la Basilicata a pattumiera nucleare d’Italia. In sintesi, come scrive Michele Finizio su Basilicata24.it “il clientelismo, il favoritismo, gli interessi di parte, le cattive tentazioni, continueranno a insinuare il prossimo governo regionale. Cambierà il colore ma la tavolozza e i pennelli saranno gli stessi. Questi non faranno del bene, anzi, peggioreranno la situazione”. Ed è una sintesi estendibile dal Molise alla Sardegna. Il clientelismo, il favoritismo, gli interessi di parte, le cattive tentazioni, sono nelle pieghe della realtà, nei fatti e nei comportamenti che ostenta il ministro degli interni, una volta dismessa la felpa di turno (anche quella dell’ENI), sostenuto e coadiuvato dai mezzi d’informazione che dicono peste e corna dei 5 stelle, che nulla fanno per placare i dissidi al loro interno, ed elogiano l’ennesimo selfie di Salvini che mangia mortadella o salame. Sissignore, questa è ormai l’informazione italiana: degna erede di una propaganda che conosciamo bene, chi ha memoria, e per la quale mi meraviglio non ci sia un ministero ad hoc. O forse c’è e si chiama degli interni, volendolo intendere della propaganda interna, considerando come la scena politica nazionale e televisiva sia monopolizzata dal leader della Lega Nord con programmazione scientifica.
Il MoU con la Cina firmato qualche giorno fa da Di Maio avrebbe potuto dare ampio respiro alle imprese e ai porti meridionali, invece, guardandolo da Sud, per alcuni versi è stata la solita zolfa.
E certamente la parte di Sud che non vota Salvini non si sente al sicuro se deve ancora sperare in Di Maio per una ripresa morale, della sua classe politica, ed economica, del suo territorio. Per troppo tempo il vicepremier di Pomigliano d’Arco ha vissuto oscurato dallo splendore di Salvini e quando si è destato dal torpore provocatogli dagli abbagli leghisti, si spera che ciò sia in realtà avvenuto, era ormai troppo tardi. Eppure di occasioni per dare ossigeno al Sud ce ne sono state in questi 9 mesi di governo, non ultima la via della seta. Il MoU con la Cina firmato qualche giorno fa da Di Maio avrebbe potuto dare ampio respiro alle imprese e ai porti meridionali, invece, guardandolo da Sud, per alcuni versi è stata la solita zolfa. Ma ci arriveremo tra un attimo. Prima vorrei darvi, sinteticamente, le motivazioni per le quali sono a favore della firma del MoU. Soprattutto dirvi di come sia stato estremamente importante, al di là di ciò che affermano i Salvini di turno, che l’Italia sia entrata per prima nella più grande realtà economica messa mai in piedi per dimensione finanziaria, per impatto politico e culturale; perché chi oggi si oppone alla via della seta, sono i rappresentanti della finanza privata occidentale di USA (di cui Salvini è il pupo italiano) e UE (Macron per i Rothschid e Junker per le lobbies fiscali lussemburghesi) che hanno condannato l’occidente alla stagnazione. Di fatto essi hanno tutto da perdere di fronte alla resurrezione dell’economia reale che la Belt and Road Initiative rappresenta. La via della seta offre a soggetti manifatturieri come Italia e Germania (che è già primo partner commerciale della Cina) l’immensa opportunità di un collegamento diretto tra l’Europa e la zona economica più vasta del mondo che oltre alla Cina, comprende Asia Centrale, India, Indonesia, Corea etc. Paesi nei quali l’industria ed il commercio non sono succubi della finanza privata e dove mercati e risparmio sono messi al servizio della produzione e quindi del benessere della società. “La Via della seta è la proiezione estera di una formula vincente del rapporto Stato-mercato che a ben guardare non è affatto estranea né all’Italia né all’Europa. I miracoli economici realizzati durante l’età d’oro del capitalismo europeo – tra il 1945 e il 1970 – furono basati sugli stessi ingredienti dei successi orientali odierni: sottomissione della finanza all’industria e guida dei mercati da parte dell’autorità pubblica. Il capitalismo finanziario che impoverisce l’Occidente non può tollerare un progetto che non può controllare e dal quale non può trarre che benefici marginali […] Ma l’incubo più inquietante dei padroni dell’Occidente è una Via della seta che diventa nel giro di una ventina di anni l’asse portante di un commercio mondiale che avviene in euro, renminbi, rubli, rupie, yen e non più in dollari. Accelerando il crollo del pilastro fondamentale della supremazia americana sul pianeta. Il dollaro è la risorsa che ha consentito agli Stati Uniti di vivere al di sopra dei propri mezzi per almeno mezzo secolo, stampando moneta a volontà e inviando il conto al resto del mondo. (Pino Arlacchi – Il Fatto Quotidiano – 27 marzo 2019). In 20 anni potremmo vivere su un pianeta multi-valutario e politicamente equilibrato data l’assenza di potenze egemoni e il vantaggio dell’Italia, in questa prospettiva, sta nell’aver anticipato gli altri paesi europei, ma soprattutto nel fatto che per la prima volta i rapporti commerciali con la Cina non saranno solo il frutto di singole iniziative, bensì di un ampio quadro di cooperazione che farà muovere finalmente l’Italia come sistema paese nel mare degli accordi sottoscritti o sottoscrivibili che il MISE valuta fino a 20 mld di euro.
Perché se Taranto era già al centro della BRI nel 2012, Di Maio & C. hanno di nuovo messo sul piatto i porti di Trieste e Genova? Elementare: a causa del veto di Salvini. E perché nel MoU non figura neanche Gioia Tauro, la più grande infrastruttura portuale del Mediterraneo per profondità di fondali e di piazzali, dove oggi 1 aprile il ministro Tonineli si recherà per ufficializzare il passaggio di Mct a Msc, del gruppo Aponte, con l’acquisizione da parte di quest’ultima della gestione dello scalo?
Tuttavia se il governo si è mosso nella giusta direzione firmando il MoU, dove invece ha toppato? Il 20 giugno 2018, a margine di un articolo, Il Borbonico affrontava lo strano caso del porto di Taranto. Nel 2012 il governo Monti non investì a Taranto la misera cifra di 190 mln di euro per il suo ammodernamento, condizione necessaria affinché l’accordo con la Hutchinson e la Evergreen andasse, è il caso di dirlo, in porto. Le due società, prima e seconda al mondo nel campo logistico, avrebbero voluto fare di Taranto il primo approdo delle linee con il Far East per la sua posizione strategica, dirottando tutto il traffico da Rotterdam e Anversa. La Cina intanto nel 2013 varava il progetto BRI, nel quale Taranto rappresentava la porta mediterranea per gli scambi merci con l’Europa, e un trilione e mezzo di investimenti in infrastrutture, di cui Taranto avrebbe ricevuto la sua quota parte se Monti ne avesse investiti 190 mln. Due anni di tempo, lavori mai iniziati, Monti che metteva a disposizione dei Cinesi Genova e Trieste e occasione sfumata a vantaggio del Pireo e della Grecia che intraprendeva il suo cammino verso la riduzione del suo debito pubblico. Ora a Taranto, ironia della sorte, si carica l’acciaio dell’ex ILVA in attesa che la sua gestione passi ai turchi di Yilport. Come diceva il buon Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: perché se Taranto era già al centro della BRI nel 2012, Di Maio & C. hanno di nuovo messo sul piatto i porti di Trieste e Genova ? Elementare: a causa del veto di Salvini. E perché nel MoU non figura neanche Gioia Tauro, la più grande infrastruttura portuale del Mediterraneo per profondità di fondali e di piazzali, dove oggi 1 aprile il ministro Tonineli si recherà per ufficializzare il passaggio di Mct a Msc, del gruppo Aponte, con l’acquisizione da parte di quest’ultima della gestione dello scalo? Semplice: a causa del veto di Salvini. La semplice concessione in gestione di questi due porti alle società cinesi, ne avrebbero sicuramente risollevato le sorti in poco tempo, insieme a quelle dell’economia che intorno a loro gira; ma Salvini è contrario e Di Maio subisce ancora. Vede Di Maio, questo è uno dei motivi per i quali lei ai nostri occhi ormai è poco credibile, al pari di coloro che l’hanno preceduta sventolando gli interessi del Sud per mero tornaconto elettorale.
Ed il bello è che il chiagni e fotti nordista continua ai nostri danni e sotto ai suoi occhi indifferenti, caro Di Maio. Addirittura Zaia, per giustificare la secessione dei ricchi, è ricorso a teorie genetiche di lombrosiana memoria, secondo le quali i veneti avrebbero nel loro DNA un gene unico al mondo che gli permette di rimboccarsi le maniche e di essere più bravi degli altri, negli ambiti di loro competenza come, per esempio, la sanità.
Alla luce anche di questi fatti, non c’è da meravigliarsi se lo SVIMEZ, per bocca di Luca Bianchi, sostiene che il Mezzogiorno è di nuovo in recessione dopo che tra il 2015 e il 2017 aveva toccato tassi di crescita pari a quelli del Centro-Nord, mentre oggi è 10 punti indietro rispetto al 2008! La prova che ancora una volta il Sud è abbandonato al suo destino sta nei dati che indicano come la spesa in investimenti per opere pubbliche sia calata molto di più al Sud dal 2000 a oggi. Secondo le stime Svimez, infatti, la spesa in conto capitale della pubblica amministrazione è passata dai 15,2 miliardi del 2015 ai 10,6 del 2017, a fronte dei 22,2 miliardi del 2000. Se si aggiungono i lunghi tempi per la realizzazione delle opere e il minore tasso di efficienza della pubblica amministrazione, nostro cronico male, il dado è tratto! E la diseguaglianza economica e sociale si riflette sulla scuola con 300 mila giovani meridionali (la metà del totale nazionale) che dopo la licenza media escono dal sistema di istruzione e formazione professionale, senza contare il danno che arreca l’emigrazione studentesca universitaria verso il Nord: 3 miliardi di euro con un impatto sul Pil per 4 decimi di punto! Ed il bello è che il chiagni e fotti nordista continua ai nostri danni e sotto ai suoi occhi indifferenti, caro Di Maio. Addirittura Zaia, per giustificare la secessione dei ricchi, è ricorso a teorie genetiche di lombrosiana memoria, secondo le quali i veneti avrebbero nel loro DNA un gene unico al mondo che gli permette di rimboccarsi le maniche e di essere più bravi degli altri, negli ambiti di loro competenza come, per esempio, la sanità. Milano e Cortina che si erano impegnate a realizzare le olimpiadi invernali con i fondi degli enti locali interessati, ora chiedono i contributi statali a Roma ladrona! Pagheremo tutti, anche noi, come abbiamo già fatto per la BreBeMi, che tanto benessere ha portato ai collegamenti su ruota al Sud, senza riceverne nulla in cambio. Anzi, in cambio Lombardia e Veneto tratterranno i 9/10 del gettito fiscale che ne deriverà…alla faccia dell’autonomia per tutti!
In pratica anziché favorire la permanenza a Sud dei giovani che ogni anno a migliaia partono per altri lidi, li sostituiamo con gli anziani provenienti da tutto il mondo, che verranno a trascorrervi un soggiorno dorato senza produrre nulla! Il prossimo passo di Salvini, in un futuro non molto lontano, sarà quello di trasformare il Sud in una colonia penale in stile Australia dove le infrastrutture verranno costruite, finalmente, dai detenuti!
Quale futuro, quindi, attende la sua terra, ministro Di Maio? In base a una proposta del suo collega Salvini, introdotta nella legge di bilancio 2019, quella di ospizio per anziani. Eh già, perché sembra proprio che l’Italia, quella del nord, voglia attrarre i capitali dei pensionati residenti all’estero (anche nostri connazionali) che decidono di trasferirsi al Sud dove per loro sarà ad attenderli una tassazione ridotta sui redditi. Il tutto è possibile in base al nuovo articolo 24-ter del Dpr 917/1986 del testo unico delle imposte sui redditi: in pratica coloro che aderiranno, dal 1° gennaio 2019 potranno optare per l’assoggettamento dei redditi “esteri” a un’imposta sostitutiva del 7% per ciascuno dei periodi di imposta di validità dell’opzione (5 anni). Beneficeranno, inoltre, dell’esonero dagli obblighi dichiarativi in materia di monitoraggio fiscale, nonché dal versamento dell’imposta sul valore degli immobili situati all’estero e dell’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (fonte Il Sole 24 Ore). Lo scopo dichiarato? Da crepare dalle risate: ottenere risorse da destinare al rilancio tecnologico-culturale del Mezzogiorno! In pratica anziché favorire la permanenza a Sud dei giovani che ogni anno a migliaia partono per altri lidi, li sostituiamo con gli anziani provenienti da tutto il mondo, che verranno a trascorrervi un soggiorno dorato senza produrre nulla! Il prossimo passo di Salvini, in un futuro non molto lontano, sarà quello di trasformare il Sud in una colonia penale in stile Australia dove le infrastrutture verranno costruite, finalmente, dai detenuti! Caro ministro e conterraneo Di Maio, di fronte alle prospettive che il suo governo riserva al Mezzogiorno mi viene da piangere; e piango ancora di più considerando il fatto che se è vero che la secessione dei ricchi ha fatto riemergere la questione meridionale con tutte le sue attuali e storiche drammaticità e criticità, è altrettanto vero che ancora una volta nulla si fa per porvi rimedio. E rimedio può porvi solo chi storicamente ha creato tale gap: il governo unitario. Non lo sostengo io (o perlomeno solo io), ma soprattutto l’ultimo studio, in ordine di tempo, di due bravissimi ricercatori, Guilherme de Oliveira e Carmine Guerriero.
Il concetto che introducono de Oliveira e Guerriero è quello, appunto, di stato estrattivo contrapposto a stato inclusivo: il primo è controllato dalle élite dominanti che si prefiggono l’obiettivo di estrarre la maggior ricchezza possibile dal resto della società a loro unico vantaggio, mentre il secondo garantisce a tutti i suoi membri uguale accesso alle opportunità economiche del paese garantendo maggiore prosperità per tutti e una sistematica inclusione sociale. Le politiche piemontesi successive all’annessione, scrivono i due studiosi, rientrano tutte nel primo caso.
Il lavoro è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista olandese International Review of Law and Economics e ripreso sul sito lavoce.info. I due studiosi dimostrano come le rivendicazioni di Lombardia e Veneto in merito al regionalismo differenziato, siano in realtà la moderna manifestazione della vecchia questione meridionale. Un problema mai risolto che ora si vuole eliminare definitivamente per non trovarvi una soluzione! De Oliveira e Guerriero dimostrano come i divari regionali tra nord e Sud, siano scaturiti dalle politiche economiche dei primi governi dopo l’unificazione del paese. “Ed è una lezione che andrebbe tenuta a mente ancora oggi, quando si parla di federalismo differenziato”. Chi ancora credesse, insomma, alla favoletta del maggiore civismo della maggiore efficienza amministrativa del Settentrione alla base del divario nord-Sud resterà deluso: i due ricercatori sostengono come “gli attuali divari Nord-Sud si aprirono principalmente a causa delle politiche economiche dei primi governi postunitari. Dominati dall’élite settentrionale, che produsse l’85 per cento dei presidenti del consiglio, tutti i prefetti e il 60 per cento dei vertici amministrativi, quei governi favorirono, tra le tredici regioni annesse dal Regno di Sardegna nel 1861, quelle più vicine ai confini militarmente più rilevanti per i Savoia e minarono civismo, capitale umano e crescita di quelle più distanti”. Ma c’è un concetto fondamentale che si desume dal titolo del saggio: “Extractive states: The case of the Italian unification” che letteralmente tradotto sarebbe “Gli stati estrattivi: il caso dell’unificazione italiana”. Il concetto che introducono de Oliveira e Guerriero è quello, appunto, di stato estrattivo contrapposto a stato inclusivo: il primo è controllato dalle élite dominanti che si prefiggono l’obiettivo di estrarre la maggior ricchezza possibile dal resto della società a loro unico vantaggio, mentre il secondo garantisce a tutti i suoi membri uguale accesso alle opportunità economiche del paese garantendo maggiore prosperità per tutti e una sistematica inclusione sociale. Le politiche piemontesi successive all’annessione, scrivono i due studiosi, rientrano tutte nel primo caso: “Le nostre stime mostrano che, prima dell’unificazione, la tassazione diminuiva con la produttività agricola di ciascuna regione, ma non era legata alla sua rilevanza politica. Dopo il 1861 è vero il contrario. I risultati sono coerenti con il maggiore potere militare, e quindi impositivo, dello stato postunitario. Inoltre, la distorsione della tassazione, misurata dalla differenza tra gettito pro capite postunitario e quello previsto attraverso le stime preunitarie, e il peso delle altre politiche estrattive, sintetizzato da bassa rilevanza politica e limitati costi di esazione, sono legati a un maggiore deterioramento del civismo, a un più lento calo dell’analfabetismo e a una minore crescita”. Questa è in sintesi l’origine della questione meridionale: una questione di colonialismo interno. E queste le conclusioni a cui pervengono de Oliveira e Guerriero: “Dalla dinamica istituzionale che ha caratterizzato l’inizio della nostra storia unitaria si può dunque trarre una lezione utile ancora oggi: politiche economiche che favoriscono solo una parte del paese possono avere un impatto drammatico e duraturo sulle scelte del resto della nazione”. Caro ministro e conterraneo Di Maio, è questo il paese che lei vuole lasciare ai suoi figli? È questa la politica per la quale vuole essere ricordato al Sud? Una politica che ha drenato tutte le risorse economiche di questa terra trasferendole al nord e lasciandole solo l’assistenzialismo? Una politica che favorisce l’estirpazione della meglio gioventù di questa terra trapiantandola al nord per garantire a quest’ultimo lunga vita e prosperità e al Sud un futuro da ospizio? Il sud non è un paese (solo) per vecchi…lo tenga a mente!
d.A.P.