Davvero, Matteo Salvini, crede che la sua proposta di tagliare i 345 parlamentari, come chiesto da Di Maio, in seguito all’apertura della crisi da parte della Lega Nord, possa salvarlo dal fallimento?
Ormai il leader leghista è in un angolo e non sa come uscirne. Ricapitolando: ha presentato una mozione di sfiducia al governo del quale faceva parte; di fronte alle contestazioni durante il suo beach tour nel Sud, è tornato all’ovile di Arcore e sotto la veste della Meloni per ricompattare il centro destra in Senato sperando in un qualche appoggio dal Pd che, pochi giorni prima, aveva votato a favore della Tav; successivamente, complice la Casellati, ha forzato la mano portando oggi alle 18.00 in Senato il voto sulla calendarizzazione della crisi, salvo poi, di fronte alla compattezza delle sinistre, “concedere” a Di Maio quanto aveva richiesto. Tuttavia gli è sfuggito un piccolo particolare: l’appello di Di Maio, in diretta al Tg 1 l’8 agosto, non era rivolto a Salvini, bensì a tutte le forze parlamentari che avessero voluto approvare la riforma. E così, un volpone come Renzi ha colto la palla al balzo, portando dalla sua anche un abulico Zingaretti. Ora leggo in rete che Salvini va a vedere il bluff dei 5 stelle. Signori non c’è nessun bluff. L’unico che ha bluffato fin dall’inizio è il ministro dell’interno, che, per inciso, ancora non ha presentato le sue dimissioni, e predica e pretende lealtà e coerenza dai 5 stelle di fronte alla sua proposta. Ma dico, questo ci è o ci fa? Dopo aver scatenato questo bailamme, dopo averne dette, in 14 mesi, di cotte e di crude sui 5 stelle, dopo aver fermato la riforma della giustizia per le vicende in essere che tutti conosciamo, insomma dopo 14 mesi di beach tour, davvero Salvini sta accusando i 5 stelle di incoerenza? In realtà la Lega Nord ha commesso un errore madornale: andare per sondaggi. Le argomentazioni dei 5 stelle, per respingere cordialmente l’invito di Salvini, dovranno essere semplici ma nette: se davvero vuole votare il taglio dei parlamentari ritiri la mozione dal Senato, come già richiesto da Patuanelli, e rientri, se ne ha l’intenzione, nei ranghi. Il trucco di Salvini, infatti, è tanto semplice quanto banale e consiste nel votare con gli attuali collegi elettorali garantendosi un eventuale maggioranza con il centro destra per poi, dovesse davvero vincere le elezioni in ottobre, insabbiare le procedure previste per il passaggio ai nuovi collegi e alla nuova legge elettorale. Oggi pomeriggio, invece, l’ovvio respingimento della calendarizzazione leghista della crisi, ha di fatto dato vita in Senato a una nuova maggioranza che, salvo imprevisti dell’ultima ora, potrebbe approvare tranquillamente il taglio dei parlamentari, con annessi e connessi, e, con un po’ di buon senso da parte di tutti, governare per altri 4 anni, eleggendo anche il Presidente della Repubblica. Serve, per l’appunto, buon senso da parte di tutti perché a tirarlo troppo, questo fragile filo rosso, potrebbe facilmente spezzarsi. I 5 stelle dovranno limare i loro estremismi sul Pd; il Pd e le altre forze minori le loro richieste. Azzardo una modesta ipotesi: nel momento in cui venisse respinta la sfiducia a Conte, Zingaretti e Renzi dovrebbero accettare un Conte bis, mentre i 5 stelle dovrebbero concedere un ridimensionamento di Di Maio nella compagine governativa e lasciare i ministeri leghisti e la presidenza del Senato ai loro “alleati”. Per due motivi: il primo è che Conte gode del gradimento di oltre il 70% degli italiani, specialmente al Sud, e questi difficilmente approverebbero un “ribaltone” che non lo veda alla guida del nuovo esecutivo. Di fatto il Presidente del Consiglio ha dato prova di ottime capacità di mediazione ed è una garanzia per l’Italia nei confronti dell’Europa più intransigente. Inoltre non passi in secondo piano agli esponenti del Pd, nonché dei 5 stelle, che un ulteriore sgarbo al Sud non verrebbe loro perdonato. In secondo luogo relegando Di Maio a ruoli meno impegnativi, concedendo gli altri ministeri a Pd & C., mantenendo però per sé il MISE, i 5 stelle darebbero prova di riconoscenza a chi ha contribuito a mantenerli con la maggioranza in Parlamento.
Fondamentale, poi, sarà per questo governo, se davvero dovesse nascere, continuare le politiche di sviluppo per il Mezzogiorno iniziate da Conte e i 5 stelle, archiviando definitivamente, e magari dichiarandola incostituzionale, come in realtà è, il latrocinio dell’autonomia differenziata veneta, prevedendo semmai la definizione dei LEP e la legislazione su un vero federalismo fiscale solidale.
Nessuno si scandalizzi dunque di fronte ad una tale ipotesi, anche può sembrare da prima Repubblica. Per i 5 stelle, che, loro malgrado, hanno governato con la Lega Nord, il minore dei mali sarebbe farlo, a queste condizioni, con Pd & C.
d.A.P.