Neanche in un momento tragico come questo, si fermano gli attacchi al Sud. Anzi, sembra proprio che giornali e televisioni vogliano infierire doppiamente, mentre la politica d’opposizione un giorno sì e l’altro pure attacca un governo che sta facendo quanto è nelle sue possibilità. Alla fine ci sarà la ciliegina sulla torta: la secessione dei ricchi.

Questi giorni di #iorestoacasa stanno avendo risvolti molto positivi per me. Ho l’immensa gioia di stare con la mia famiglia in particolare con i miei bambini, parlargli, fare i compiti e giocare con loro; cose delle quali normalmente, quando sono fuori per lavoro, non vedendoli, se non di mattina, posso solo avere nostalgia cercando di rifarmi nei fine settimana. Riesco poi a dedicarmi maggiormente alla lettura e alla musica, altra mia passione, e, quando finiscono le provviste, vado a fare a la spesa rigorosamente mascherato. Ci sono poi tante altre piccole cose che, diciamocelo, ognuno di noi, preso com’era dal tran tran quotidiano aveva accantonato, o semplicemente ci aveva del tutto rinunciato. E mi sono accorto, riflettendoci, che tutto ciò può essere definito con una parola molto semplice, ma efficace: unità! Il Covid-19 che non ci fa abbracciare, ci inibisce anche la stretta di mano e ci tiene a distanza di sicurezza, paradossalmente ci ha unito nei nostri affetti, nella nostra quotidianità, nel nostro stesso essere.

Unità, pensavo … e dal mio microcosmo ho provato a traslarla al macrocosmo italiano di questi giorni e mi sono accorto, con grande rammarico, che la proprietà transitiva falliva miseramente ogni qual volta mi ritrovavo a guardare la televisione o a leggere i giornali on line.

Unità, pensavo … e dal mio microcosmo ho provato a traslarla al macrocosmo italiano di questi giorni e mi sono accorto, con grande rammarico, che la proprietà transitiva falliva miseramente ogni qual volta mi ritrovavo a guardare la televisione o a leggere i giornali on line. Ho capito che il Covid-19, che ha unito nel micro, ha lacerato definitivamente il macro. Ha esasperato, per esempio, i lati peggiori della comunicazione alla ricerca della sensazionalità nella tragedia, dell’incoscienza e della spavalderia nel dramma, della superbia e dell’arroganza nella battaglia, della notizia bomba nella disgrazia. Per non parlare della politica che dai partiti di opposizione e dai presidenti di Lombardia e Veneto, in particolare, ha sciolinato il meglio del nonsense.  

E così sui notiziari, in rete, sui social e sulla carta stampata passa l’esodo dal Nord verso Sud alla vigilia del secondo decreto Conte, ma si tacciono i trasferimenti dei “fratelli” lombardo-veneti verso le seconde case al mare e in montagna; in merito alle trasgressioni al decreto, passano sui tg nazionali le immagini di repertorio di una Napoli con gente che cammina in Piazza Plebiscito, ma si tacciono i fermi nel padovano, trevigiano e nel milanese (per non parlare di altri accadimenti minori); il prof. Galli che accusa il prof. Ascierto di provincialismo solo perché ha ritenuto di condividere con l’intero paese i positivi risultati del farmaco Tocilizumab sperimentato a Napoli e a giusto titolo ne rivendica l’adozione del protocollo nazionale; i 249 medici del Cardarelli di Napoli in malattia, che poi diventano operatori sanitari, dei quali però non c’è riscontro come asserito dal manager Giuseppe Longo; Fontana e Zaia che sono partiti da una semplice influenza per poi arrivare al “chiudere tutto”; Salvini che non perde un secondo del suo tempo per criticare il governo avanzando richieste astruse, accompagnato dai suoi degni compari di merenda; il quotidiano Libero che prima titola “Prove tecniche di strage”, poi rettifica “virus, ora si esagera” e infine la ciliegina “Virus alla conquista del Sud, l’infezione crea l’unità d’Italia”; infine Striscia la Notizia. Ecco questa è la magra sintesi pubblica, di questi giorni di #iorestoacasa. Magra perché ci sarebbe molto e molto altro ancora da dire, ma credo di aver reso l’idea.

Ora, di fronte a tutto ciò, ci si chiede dove sia la ragione nell’elevare esponenzialmente il livore nordico nei confronti del meridione e dei meridionali? Quale il giovamento che ne trarrebbe quella parte del paese, il nord?

Io una mia idea me la sono fatta e si sa che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende. Lungi da me voler analizzare approfonditamente ogni singolo aspetto, voglio sottoporre al lettore alcuni spunti di riflessione che favoriscano magari un punto di vista controcorrente.

La privatizzazione della sanità lombarda risale a Formigoni, la cui politica ha prodotto uno sbilanciamento di fondi verso il privato, orientato verso il business di nicchia, lasciando scoperto il pubblico orientato, almeno così dovrebbe essere, verso la salute pubblica. E così accade che un piccolo virus mette in ginocchio un gigante, la Lombardia, nel cui bilancio la voce sanità pesa per il 75%.

L’epidemia scoppia e si diffonde in Lombardia, dove l’efficiente sanità plurifinanziata dalla spesa pubblica avrebbe potuto e dovuto fare di più. Ovviamente non mi riferisco agli operatori, medici ed infermieri, ma a chi quei soldi li gestisce, lasciandone un bel po’ per strada e contemporaneamente promuovendo un’immagine di una sanità efficiente che invece non esiste e che infatti ha sottovalutato l’evento: lo stiamo sperimentando in questi giorni, ma la privatizzazione della sanità lombarda risale a Formigoni, la cui politica ha prodotto uno sbilanciamento di fondi verso il privato, orientato verso il business di nicchia, lasciando scoperto il pubblico orientato, almeno così dovrebbe essere, verso la salute pubblica. E così accade che un piccolo virus mette in ginocchio un gigante, la Lombardia, nel cui bilancio la voce sanità pesa per il 75%. Com’è accaduto? Non tutti lo sanno ma era nell’aria e soprattutto nelle chilometriche liste di attesa degli ospedali lombardi.

La sanità in Lombardia è un apparato che ormai si è ridotto a lavorare alle dipendenze dei tanti potentati privati che si dividono fette cospicue di soldi e finanziamenti.

Fontana ne era cosciente tanto che solo un anno fa, nel febbraio 2019, ne annunciava la riduzione dei tempi di attesa (ben oltre il 2020) per poter accedere alle visite specialistiche e agli esami diagnostici, attraverso un maggiore controllo sulle attività dei privati accreditati, anche grazie allo scorporo di una quota dei finanziamenti a loro destinati (35 milioni di euro) che passava sotto la diretta gestione dei servizi regionali allo scopo di privilegiare determinate prestazioni a scapito di altre. Tuttavia l’operazione si è rivelata, alla fine, solo un maquillage di un apparato che ormai si è ridotto a lavorare alle dipendenze dei tanti potentati privati che si dividono fette cospicue di soldi e finanziamenti, poiché quei 35 milioni sottratti alle autonome decisioni della sanità privata erano (e sono) un’inezia in confronto ai 2 miliardi/anno che i privati accreditati guadagnano coi ricoveri e ai 1,2 miliardi di euro/anno che le stesse strutture guadagnano con le visite e gli esami diagnostici; ma la beffa ulteriore nei confronti del servizio sanitario regionale è stata che quei 35 milioni sono restati (e restano) nella disponibilità degli uffici regionali preposti a decidere nel merito delle prestazioni da realizzare con tale cifra. In sintesi non sono stati assegnati alle strutture pubbliche per potenziarle, magari con nuovi posti in terapia intensiva che oggi servono come il pane, ma trattenuti in regione.  Inoltre la contemporanea imposizione alla sanità privata convenzionata di ridurre il numero di alcuni interventi, senza al contempo prevedere alcuno stanziamento verso le strutture pubbliche affinché subentrassero nella realizzazione di tali pratiche sanitarie, ha ottenuto il risultato di creare cittadini di serie A capaci di pagarsi quegli interventi di tasca propria presso strutture private, e di serie B che invece hanno convissuto (e convivono) con patologie non proprio leggere.

La regione Lombardia, quindi, ha pensato bene di ridurre i tempi delle liste d’attesa semplicemente riducendo alcune prestazioni sanitarie fino a ieri erogate con il SSR, direttamente o in convenzione, contribuendo però, in questo modo, a indirizzare le utenze verso prestazioni totalmente private, quindi a pagamento, di fatto non sottraendo, ma aumentando l’utenza del privato.

Ora cosa c’entrano, direte voi, le liste di attesa lombarde con il Covid-19? Tutto: il sistema lombardo si vantava, nella sua efficienza, di ridurre le liste di attesa al minimo garantendo attraverso il privato convenzionato i servizi al cittadino nel brevissimo periodo. A conti fatti non è stato (e non è) così, il tutto a discapito del potenziamento del SSR, dei cittadini e a tutto vantaggio delle tasche di pochi. Quei pochi che ora, però, vedono sfuggirsi di mano la gallina dalle uova d’oro, ad opera del Covid-19 e che temono una nuova nazionalizzazione del SSR o quantomeno un ridimensionamento dei fondi alla sanità privata. E ne hanno ben donde alla luce dei fatti, perché se c’è una cosa che il virus ha dimostrato, non svelato, è che l’Italia non è una nazione, ma una accozzaglia di regioni ognuna con i propri campanilismi. A partire proprio dalla sanità che è stata chiamata in causa in prima persona dall’emergenza.

I soldi contro la salute dei pazienti, il protagonismo contro il gioco di squadra. Questa la sintesi Galli-Ascierto. Galli, che si vede sfuggire la possibilità di mettere a punto un protocollo nazionale, non sa fare di meglio che screditare il collega tentando di ridimensionare il suo operato.

Uno dei primi ad alzare campanili è stato il prof. Galli che il 10 febbraio, dall’alto della sua competenza, sosteneva che in Italia difficilmente la malattia si sarebbe diffusa. Una simile dichiarazione ha lasciato sottostimato il pericolo Covid-19 sia in Lombardia che a livello centrale. Perché, sarà stata la domanda dei governanti, non fidarsi di Galli? In fondo è uno scienziato ne saprà qualcosa…o no?  No comment. Poi però Galli si infervora, alzando un secondo campanile, se a Napoli il prof. Ascierto rivendica pacatamente l’aver dato inizio al protocollo nazionale per l’utilizzo del Tocilizumab per trattare l’infezione e lo accusa di provincialismo. Da signore Ascierto non replica, ma dichiara sui social: “Non ci risulta che qualcuno lo stesse facendo in contemporanea e saperlo ci avrebbe peraltro aiutato. In questa fase, non è importante il primato. Quello che abbiamo fatto è stato comunicarlo a tutti affinché TUTTI fossero in grado di poterlo utilizzare, in un momento di grande difficoltà. Non solo. Grazie alla grande professionalità del dr Franco Perrone del Pascale, in pochi giorni siamo stati in grado di scrivere una bozza di protocollo per AIFA che ha avuto un riscontro positivo. Il nostro deve essere un gioco di squadra e la salute dei pazienti è la cosa che ci sta più a cuore. Andiamo avanti con cauto ottimismo … nel frattempo parte la sperimentazione di AIFA. Ce la faremo di sicuro!!!” I soldi contro la salute dei pazienti, il protagonismo contro il gioco di squadra. Questa la sintesi Galli-Ascierto. Galli, che si vede sfuggire la possibilità di mettere a punto un protocollo nazionale, non sa fare di meglio che screditare il collega tentando di ridimensionare il suo operato. Il fatto che poi ci siano riusciti a Napoli, davvero non va giù al milanese perché probabilmente il Pascale potrebbe sottrarre al Sacco risorse e donazioni, non ultimi quei fondi per la ricerca negati all’istituto napoletano, eccellenza mondiale nella lotta ai tumori, solo un anno fa dal governo.

Ciò che non si comprende, esclusivamente per interesse economico, è che una sanità nazionale uguale per tutti e proporzionata alle necessità locali e regionali, e quindi non sovradimensionata da una parte e sottodimensionata dall’altra, sia un vantaggio per l’intero sistema paese e contribuirebbe a livello sociale ad una maggiore solidarietà tra le parti che avrebbe il positivo effetto collaterale di unire, anziché dividere attraverso recriminazioni e discriminazioni.

Bisogna, insomma, screditare il Sud perché nelle grandi crisi c’è tutto da perdere e tutto da guadagnare allo stesso tempo. E il Sud con le sue eccellenze, le sue professionalità la sua onestà, la sua umiltà avrebbe tutto da guadagnare, ma sempre nell’interesse di tutti. Il guaio è che purtroppo esista qualcuno, alle alte latitudini, che creda fermamente che lo sviluppo del Sud, anche a livello sanitario, equivalga per loro ad un minus. È risaputo, lo ha ribadito anche la Gabanelli da Floris, che il nord abbia l’enorme interesse a che il sistema sanitario a sud resti indietro per poter curare gli utenti meridionali e accrescere i bilanci regionali. Ciò che non si comprende, esclusivamente per interesse economico, è che una sanità nazionale uguale per tutti e proporzionata alle necessità locali e regionali, e quindi non sovradimensionata da una parte e sottodimensionata dall’altra, sia un vantaggio per l’intero sistema paese e contribuirebbe a livello sociale ad una maggiore solidarietà tra le parti che avrebbe il positivo effetto collaterale di unire, anziché dividere attraverso recriminazioni e discriminazioni. E questo discorso può adattarsi benissimo alla famigerata secessione dei ricchi che viaggia sulla stessa lunghezza d’onda. Le regioni del nord, in seguito all’epidemia, vedono messo in serio pericolo tutto il discorso autonomistico portato avanti fino a ieri. E non potrebbe essere diversamente dato che per una seria ripresa economica italiana occorrerà una strategia nazionale che assegni risorse pubbliche, magari in deficit. Qui si giocherà la partita più importante perché segnerà la ripartenza e il governo italiano avrà l’occasione di mettere tutti finalmente sullo stesso piano come cittadini e non come numero o indicatore di pil. Di questo ne sono coscienti tutti e tutti al nord stanno combattendo perché le cose restino come sono ora, anche e soprattutto a crisi superata.

Non si può e non si deve dare risalto alle eccellenze nate a Sud con i pochi soldi pubblici stanziati, perché verrebbero in superficie quelle immense potenzialità, che potrebbero diventare poi concrete possibilità attraverso finanziamenti adeguati.

Il Sud deve essere dipinto al solito come inefficiente, pelandrone, irrispettoso dell’autorità e delle regole e, soprattutto, deve essere tassativamente il nord a salvarlo: ecco perché il nord chiederà di più e lo otterrà come al solito dalle tasche del Sud. Deve perciò passare la bufala dei medici in malattia a Napoli, piuttosto che la sperimentazione del Tocilizumab che a Torino ha salvato la vita ad un anziano di 97 anni  o che a Bari “l’azienda Alpha Pharma, specializzata in biotecnologie, ha messo a punto un test rapido VivaDiag Covid-19 effettuato con una goccia di sangue per verificare in soli 15 minuti la determinazione qualitativa degli anticorpi IgM e IgG anti-Covid-19 nel sangue umano (prelevato da vena o dal polpastrello) nel siero o nel plasma”; o ancora si deve tacere sul fatto che “i ricercatori dell’Università della Calabria e dello spinoff Macrofarm hanno sviluppato in laboratorio una nuova possibile strategia per il trattamento di SARS-CoV-2 basata sull’utilizzo di anticorpi sintetici monoclonal type capaci di intervenire prima che il virus infetti la cellula umana”. Non si può e non si deve dare risalto alle eccellenze nate a Sud con i pochi soldi pubblici stanziati, perché verrebbero in superficie quelle immense potenzialità, che potrebbero diventare poi concrete possibilità attraverso finanziamenti adeguati.

Ecco: alla luce di queste considerazioni, ancora una volta mi trovo a dover scrivere di un paese diviso che ha affrontato diviso l’emergenza e che, salvo un miracolo, affronterà ancora una volta diviso la ripresa. Perché un paese unito in una situazione simile avrebbe combattuto insieme senza sputtanamenti e recriminazioni tra l’altro provenienti da una sola parte del paese nei confronti dell’altra e attraverso tutti gli organi di stampa, tv e radio.  

Diceva il grande Einstein: “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato.

Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla. (Il mondo come io lo vedo (1931))

In questo estratto io vedo tutta la differenza tra Galli e Ascierto e quindi tutta la differenza reciproca tra l’atteggiamento del nord e quello del Sud nell’affrontare l’emergenza. Il governo capisca che alla fine avrà l’opportunità di rilanciare questo paese solo ed esclusivamente puntando egualmente, equamente e giustamente sulle eccellenze tanto a nord quanto a sud, conferendo ed equamente dividendo la spesa pubblica tanto a nord quanto a sud e, soprattutto, riprendendosi la sanità. Questa è la vera, unica occasione italiana che scaturisce dal Covid-19. Diversamente il Sud, la gente del Sud, prenda coscienza del trattamento riservatogli e attraverso i suoi amministratori ne tragga le giuste conclusioni: il sud può e deve essere libero dalle vessazioni economiche del nord.

Voglio però lasciarvi con un pensiero per tutti i medici e gli infermieri che stanno combattendo e salvando vite umane in tutti gli ospedali del paese: “La Moldava” poema sinfonico di Bedřich Smetana del 1874 in una performance della Gimnazija Kranj Symphony Orchestra. Riascoltarla in questi giorni mi ha aperto ad una riflessione: la lotta al virus vede in prima linea il personale sanitario come i fiati, gli archi e le arpe lo sono in un’orchestra. Provate però ad ascoltare e isolare il suono del triangolo. È un suono discreto all’interno della totalità del poema, ma che dà un senso al tutto. Senza di lui il poema non sarebbe la stessa cosa. Ora immaginate che l’intera orchestra sia il personale medico che è chiamato a fare tutto il possibile per debellare l’epidemia; sappiamo che il loro è il lavoro più duro. Noi altri, invece, siamo il triangolo e abbiamo un compito più semplice: rimanere a casa. Eppure il nostro compito, come quello del triangolo, dà senso e scopo al lavoro dei medici. Senza la nostra piccola collaborazione, il loro lavoro sarebbe inutile, come lo sarebbe La Moldava senza il suono discreto e pieno di significato del triangolo. Perciò vi prego, restiamo a casa e ce la faremo!

d.A.P.

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