Il governo sembra in totale confusione sul Recovery Fund. Ma è solo una strategia per mischiare le carte in tavola, non tenere conto delle direttive europee e dei progetti, dirottando quanti più soldi possibili al nord. Intanto la desecretazione dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico mette all’angolo l’esecutivo.
Qualche giorno fa, intervistato da Marco Esposito su il Mattino, Emanuele Felice, abruzzese, responsabile economico Pd e strenuo sostenitore della strampalata tesi che vede il Sud arretrato perché incapace, postulava che il 40% del Recovery Fund destinato al sud fosse un buon equilibrio.
A sostegno del suo equilibrato postulato, il prof. Felice affermava che non saremmo uno stato unitario se ogni territorio ricevesse contributi per quanto realmente indichino i suoi parametri. Infatti è proprio per questo che l’Italia non è uno stato unitario, ma il professore sembra non essersene mai accorto e magari se gli chiedessimo della spesa storica, ne postulerebbe la sua non esistenza!
In base al postulato di Felice si spiega la vecchia teoria che essendo i meridionali incapaci, i soldi devono andare ai laboriosi settentrionali anche se con i suoi indicatori il Sud ha contribuito per il 73% dei 209 miliardi.
Per inciso un postulato è un principio indimostrato la cui validità si ammette a priori per evidenza o convenzione allo scopo di fornire la spiegazione di determinati fatti o di costruire una teoria.
Quindi in base al postulato di Felice si spiega la vecchia teoria che essendo i meridionali incapaci, i soldi devono andare ai laboriosi settentrionali anche se con i suoi indicatori il Sud ha contribuito per il 73% dei 209 miliardi. Del resto sulla citata incapacità meridionale il buon professore, anch’egli meridionale, si cimentava anni fa nel suo libro “Perché il sud è rimasto indietro” stroncato immediatamente dagli ottimi Daniele e Malanima (meridionali anche loro).
Mi sa che il professore, più che Felice, sia alquanto confuso. E in confusione, circa la ripartizione del RF, sembra esserci l’intero governo se anche il ministro Provenzano ha chiesto per il Sud solo il 34% del RF da integrare con il piano straordinario 2030.
Piano 2030 e RF non possono e non devono essere integrati, perché interventi distinti e separati e per niente sovrapponibili! Si correrebbe il rischio di finire come i fondi strutturali europei utilizzati per sopperire all’ammanco di spesa pubblica destinata a Sud, causa spesa storica, di fatto distraendo ulteriori risorse a vantaggio di chi ha già troppo!
Briciole disperse nel mare se si considera che il piano 2030 vedrebbe applicato appieno il 34% delle risorse pubbliche al Sud solo tra vent’anni, quando invece una legge già ne prevede la destinazione anno per anno! Piano 2030 e RF non possono e non devono essere integrati, perché interventi distinti e separati e per niente sovrapponibili! Si correrebbe il rischio di finire come i fondi strutturali europei utilizzati per sopperire all’ammanco di spesa pubblica destinata a Sud, causa spesa storica, di fatto distraendo ulteriori risorse a vantaggio di chi ha già troppo! Le risorse del piano straordinario 2030, quelle del fondo sviluppo e coesione (finora viste col binocolo) nonché i fondi strutturali europei, sono interventi già previsti nel pre-covid e quindi fondi che già spettano di diritto al Mezzogiorno indipendentemente dal RF. Che nessuno quindi, a nord come a sud, si azzardi, nell’eterno gioco politico italiano delle tre carte, a voler finanziare il piano straordinario per il Sud con il 209 miliardi perché sarebbe un furto bell’e buono! Anche e soprattutto alla luce del fatto che il Mezzogiorno ha subìto ingiustamente il lockdown impostogli dal governo terronordico affinché non traesse vantaggio dalla disastrata condizione sanitaria settentrionale, bruciando in questo modo 100 miliardi di Pil che tutto sommato all’Italia avrebbero fatto comodo, ma che soprattutto peseranno come un macigno sulla ripresa di un territorio già depresso.
A voler pensare male, sembrerebbe proprio che, nel decidere per il lockdown generale, abbia prevalso la logica perversa dei poteri nordici secondo la quale non fermando il Sud, il polo prenditoriale emiliano-lombardo-veneto avrebbe pagato un prezzo altissimo; pertanto meglio rinunciare a ulteriori 100 miliardi di Pil piuttosto che chiudere solo una parte del paese per il bene di tutti.
Certamente il governo, considerando quanto scritto nei verbali del CTS, dovrà spiegare il perché della scelta di fermare l’intero paese quando invece gli veniva suggerito il contrario. A voler pensare male, sembrerebbe proprio che abbia prevalso la logica perversa dei poteri nordici secondo la quale non fermando il Sud, il polo prenditoriale emiliano-lombardo-veneto avrebbe pagato un prezzo altissimo; pertanto meglio rinunciare a ulteriori 100 miliardi di Pil piuttosto che chiudere solo una parte del paese per il bene di tutti.
Ecco appunto…il bene comune, questo sconosciuto! A parti invertite non si sarebbe esitato un attimo a chiudere quel covo di fannulloni dal Garigliano in giù, perché la locomotiva, inceppata, non s’aveva da fermare per il bene del paese!
Insomma, i 209 miliardi fanno gola eccome al nord. A tal punto che i prenditori nordici stanno concedendo al Mezzogiorno di tutto e di più: la fiscalità di vantaggio (che partirà al 30% da ottobre e si ridurrà anno per anno fino ad arrivare al 10% nel 2029); l’80% del fondo sviluppo e coesione per il ciclo 2021-2027; i fondi strutturali europei aumentati di un miliardo.
A cosa serve la riduzione del 30% del cuneo fiscale se non ci sono imprese e imprenditori sul territorio o se quei pochi che ci sono non assumono? Davvero il governo crede che una mancetta sia sufficiente a portare nuovi investitori a Mezzogiorno?
Se il governo confuso e felice vuole attrarre capitali, investitori e imprenditori a Mezzogiorno occorre che supporti l’intero pacchetto di interventi con una seria politica sociale, economica ed infrastrutturale.
Tutte strade praticabili, ma tutte a lungo termine e che rischiano di trasformarsi in un nuovo assistenzialismo se non saranno capaci di attrarre capitali e investimenti. A cosa serve infatti la riduzione del 30% del cuneo fiscale se non ci sono imprese e imprenditori sul territorio o se quei pochi che ci sono non assumono? Davvero il governo crede che una mancetta sia sufficiente a portare nuovi investitori a Mezzogiorno? La trappola è facile da scoprire: tra qualche anno i governi nordici ci rimprovereranno di non aver saputo utilizzare i soldi che “loro” ci hanno “magnanimamente” concesso e quindi tutte le misure verranno ritirate o diminuite.
Se il governo confuso e felice vuole attrarre capitali, investitori e imprenditori a Mezzogiorno occorre che supporti l’intero pacchetto di interventi con una seria politica sociale, economica ed infrastrutturale: ospedali e servizi migliori; istituti scolastici moderni; tasse universitarie basse; sgravi sulle assunzioni; agricoltura di qualità; turismo sostenibile; ZES; interportualità meridionale; alta velocità/capacità e soprattutto ponte sullo stretto! Fanno 145 miliardi su 209…il 70%!
Solo così il Mezzogiorno diventerà una calamita capace di attrarre investimenti dall’esterno e dall’interno del paese creando nuovi posti di lavoro! Costruire il ponte poi (che per inciso costa meno del reddito di cittadinanza e di quota cento per un anno) sarebbe quel segnale che tutto il mondo attende: l’Italia finalmente ha deciso di puntare a Sud!
Occorre, in conclusione, una visione progettuale e sistemica di sviluppo, che una volta e per sempre metta al centro il Mezzogiorno come ponte dell’Europa e dell’Italia nel Mediterraneo con risorse e tempi certi per la realizzazione dei progetti. Soprattutto occorrono progetti! Il governo confuso e felice è avvisato: il tempo dei giochetti a Sud è finito, così come la pazienza!
d.A.P