Conte e Provenzano provano a prendere in giro il Sud con progetti già finanziati passati sul Recovery Fund.
Essere governati da ignoranti (nel senso che ignorano) in storia può essere molto pericoloso per un popolo. Se poi si tratta di un popolo diviso (perché così concepito e mantenuto nei decenni) allora la faccenda è drammatica per quella parte volutamente discriminata e mortificata.
Questo semplice concetto è sintetizzato dal filosofo, scrittore e poeta spagnolo George Santayana quando afferma che “chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”. E il governo italiano, in materia di Recovery Fund (RF), sta esattamente ripetendo la storia e gli errori commessi con il piano Marshall (European Recovery Program – ERP).
Perché se è vero che dagli errori si impara, è altrettanto vero che i nostri politici dagli errori del passato non hanno imparato nulla. E non perché incapaci di farlo, bensì perché non vogliono, ostaggi come sono di chi li ha messi su quelle poltrone alle quali, comprendiamo bene, è difficile rinunciare seppur per un nobile ideale quale è l’equità territoriale. L’esempio lampante ce lo consegna la video conferenza “Next Generation Italia – Un nuovo Sud a 70 anni dalla Cassa per il Mezzogiorno”, organizzato dall’associazione Merita. In modo particolare ce lo consegnano gli interventi del ministro Provenzano e del Presidente del Consiglio Conte, entrambi sulla stessa lunghezza d’onda. Ce lo consegnano, altresì, gli interventi di Michele Emiliano, per il quale il 34% del RF è più che sufficiente a risollevare le sorti del Mezzogiorno, e i silenzi degli altri presidenti delle regioni meridionali, eccezion fatta per l’inatteso quanto apprezzato Bardi, dopo la levata di scudi di De Luca.
Provenzano e Conte hanno elogiato il piano Sud 2030 presentato a Gioia Tauro che per la sua attuazione prevede fondi dalla spesa pubblica nazionale e che, come per magia, si ritrova, ora di fatto, tra i progetti da finanziare con il RF.
Fin qui la sintesi di questi giorni, ma, volendo andare oltre, non possiamo fare a meno di prendere atto che del Mezzogiorno al governo terronordico non importa un fico secco. Provenzano e Conte hanno elogiato il piano Sud 2030 presentato a Gioia Tauro (con una slide-copertina di Trieste, segno premonitore) che per la sua attuazione prevede fondi dalla spesa pubblica nazionale e che, come per magia, si ritrova, ora di fatto, tra i progetti da finanziare con il RF. In questo modo una prima porzione dei 145 miliardi che ci spettano andranno altrove (sappiamo bene dove). Si esclude l’alta velocità adriatica e si elogia quella fal(r)sa della Napoli-Bari e Salerno-Reggio Calabria, opere già in cantiere e già finanziate. Una seconda porzione dei 145 miliardi che spariscono. Niente ponte sullo stretto, niente aeroporti, niente strade, autostrade e soprattutto niente porti a Sud, mentre a nord si presentano i progetti per Genova e Trieste. L’ultima porzione di RF che vola via al nord.
Cosa resta al Sud del RF? Il 34% in virtù della famosa clausola per la spesa pubblica finora ignorata, ma tirata fuori all’occorrenza per il RF su magnanima concessione di Confindustria & C.
La legge paradosso del 34% non ha nulla a che vedere con il RF, e non abbiamo alcuna intenzione di rimanere inermi di fronte a un doppio furto che ci vede in un sol colpo sottratte le risorse della spesa pubblica, coperte con quelle del RF, e quelle dello stesso RF che vanno a coprirle.
Tuttavia, lo sappiamo bene e lo ribadiamo con forza, la legge paradosso del 34% non ha nulla a che vedere con il RF, e non abbiamo alcuna intenzione di rimanere inermi di fronte a un doppio furto che ci vede in un sol colpo sottratte le risorse della spesa pubblica, coperte con quelle del RF, e quelle dello stesso RF che vanno a coprirle. È il gioco delle tre carte che il Nord sa fare bene e che i nostri governanti hanno voluto, questa volta sì, imparare ancora meglio per il proprio tornaconto.
La Cassa per il Mezzogiorno fu il primo esempio di doppio furto ai nostri danni, perché conseguenza dello sbilanciato riparto dell’ERP (87% al Nord, 13% al Sud) che permise all’industria settentrionale di riprendersi, per poi essere ulteriormente remunerata dagli interventi operati nel Mezzogiorno.
La trama terronordica, insomma, si sta dipanando. Il progetto diventa sempre più chiaro e simile a quello che portò alla Cassa per il Mezzogiorno di 70 anni or sono, tanto acclamata quanto fraudolenta per il Sud. Essa, infatti, fu il primo esempio di doppio furto ai nostri danni, perché conseguenza dello sbilanciato riparto dell’ERP (87% al Nord, 13% al Sud) che permise all’industria settentrionale di riprendersi, per poi essere ulteriormente remunerata dagli interventi operati nel Mezzogiorno. Il risultato fu il rilancio del PIL a Nord che superò il 20%, mentre il Sud rimaneva al palo del 10%.
Cosa ci attende allora? Dipende da noi, da quanto vogliamo che la storia si ripeta o meno. Nella peggiore delle ipotesi verrà creata una nuova Cassa per il Mezzogiorno che aumenterà ulteriormente la forbice del divario, diversamente ci attende una battaglia che si può e si deve vincere per il bene (economico, politico e sociale) tanto del Sud quanto dell’Italia.
Noi non vogliamo ripetere la storia, ma cambiarla. I parlamentari e i politici meridionali di ogni ordine e grado, possono affermare e sostenere (con i fatti) lo stesso?
d.A.P.