Il rottamatore al servizio della sacra finanza unita, gioca a fare il divo con il destino del paese.

Avrebbe fatto meglio a mantenere la sua promessa pre-referendaria, il senatore Renzi. Io avrei fatto a meno di scrivere queste righe e lui magari avrebbe potuto godersi una qualche specie di vitalizio andando in giro per seminari ad esportare le sue teorie. Teorie di un politico che, per l’appunto, voleva farla finita con la politica e senatore di un Senato che voleva abolire. E La coerenza di certo non trova spazio nei suoi collegamenti neuronali se l’ultima sua trovata è quella di far cadere il governo al quale aveva votato la fiducia. Del resto il nome Matteo, in fatto di fiducia, è una “garanzia”.

Lungi da me difendere un governo che in materia di Mezzogiorno, al momento, fa ancora acqua da tutte le parti, non sarà certo Matteo II con la sua sconsiderata mossa a risollevarne le sorti. Il capriccio del MES, il meccanismo europeo di stabilità che dovrebbe far risorgere la sanità italiana con i suoi 36 miliardi, è solo un altro modo per dire che i soldi del Recovery Fund non devono essere gestiti dall’attuale governo perché potrebbe, il condizionale è ancora d’obbligo, favorire interessi che non siano quelli della cricca renziana. Motivo per il quale personalmente non affiderei il RF a nessun altro governo che non sia questo, sebbene ancora con visioni poco chiare a Sud. A maggior ragione qualora si paventasse l’ipotesi di un supercommissario (il nome di Draghi non è mai tramontato sull’orizzonte di Matteo II) alla guida di un governo tecnico.

La mia convinzione affonda le sue radici nell’operato del governo renziano che dal 2014 al 2018 (con la collaborazione di Gentiloni) alla sola sanità pubblica tagliò ben 30 miliardi di euro! La chiamava spending review, di fatto fu un taglio orizzontale di risorse senza capo né coda che si tradusse, tra gli altri misfatti, nel jobs act e negli 80 euro ai redditi medi, voltando le spalle alle famiglie al di sotto della soglia di povertà. A certificarlo fu anche la Corte dei Conti, già nel 2016, che rimproverava al governo in carica una “non ottimale costruzione di basi conoscitive sui contenuti, sui meccanismi regolatori e sui vincoli che caratterizzano le diverse categorie di spesa oggetto dei propositi di tagli”. Che tradotto significava che i tagli di Renzi avvennero in maniera lineare e non ragionata danneggiando servizi che non andavano toccati, mentre laddove la matassa era da sbrogliare non si riuscirono a toccare i nervi giusti. Lo stesso Cottarelli, all’epoca primo commissario alla spending review, una volta sbattuta la porta e sostituito con Yoram Gutgeld, in un’intervista al Fatto Quotidiano dichiarò che mentre cercava di ragionare sui tagli, il governo faceva passare misure che aumentavano le uscite rendendoli quindi inefficaci.

Il risultato di quei quattro anni di governo fu l’aumento record della spesa corrente a testimonianza del fatto che fin dall’inizio non c’era alcuna volontà di spendig review e che anche i pochi interventi fatti non furono né strutturati e né coordinati. Insomma non c’era alcun progetto di fondo, se non quello di mancette elettorali e spostamento di fondi da una voce di spesa all’altra la cui conseguenza fu un gettito a pioggia su piccole misure estemporanee. Risorse preziose che potevano essere utilizzate meglio. A farne le spese furono, oltre alla sanità, la scuola, la ricerca, lo sviluppo economico, le infrastrutture ed i trasporti, le politiche agricole e forestali, la tutela del territorio, la sicurezza, la giustizia e i servizi essenziali al cittadino. La somma di questi tagli inevitabilmente finì, in termini di servizi al territorio e ai cittadini, per penalizzare ancora una volta il Mezzogiorno che aveva (ed ha) già di meno. E in risposta alle obiezioni provenienti all’epoca da Roberto Saviano e alcuni presidenti di regione, dovemmo anche sorbirci da parte di Matteo II la solita litania: “Sul Sud basta piagnistei: rimbocchiamoci le maniche” (La Repubblica 2 agosto 2015). E noi ce le stiamo rimboccando, ma per una bella scazzottata!

d.A.P.

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