L’intervista rilasciata da Carlo Bonomi al CorSera, rivela inquietanti parallelismi. Trattasi di crisi su commissione?
Chi non vorrebbe conoscere il vero il motivo per il quale il mezzo sigaro toscano ha chiuso il sipario sul Conte II. Beh, eccovi accontentati. Vi basterà leggere le dichiarazioni di Bonomi al Corriere della Sera. Parla Bonomi e sembra il riverbero delle parole dell’ex sindaco di Firenze. Confindustria, e non si capisce a che titolo, pretende di essere ascoltata, altrimenti potranno esserci altri dieci governi, ma cadranno tutti sotto la scure dei pupi confindustriali. E che proposte ha Bonomi per l’Italia? Niente personalismi, cioè il Presidente del Consiglio deve essere il suo portavoce; un governo che ascolti, cioè che esegua gli ordini senza fare domande; che dia risposte alle proposte e alle istanze delle imprese, ovvero che dica eternamente “sì padrone”. Un governo “disponibile ad ascoltare chi ha dimostrato capacità di far crescere il Paese”, visto che “l’industria manifatturiera è quella che tiene in piedi” l’Italia.
E qui, inesorabilmente, mi vien da ridere perché se Bonomi chiede al governo di parlare della realtà, pare proprio che il primo a non tenerne conto sia lui! Dov’era il signor Bonomi negli ultimi vent’anni quando se il Pil italiano sfiorava l’1% i politici gridavano al miracolo economico? Dov’era la sua industria manufatturiera? Dov’erano gli investimenti pubblici concessi alla manifattura per riprendere la propria competitività? Ve lo dico io: all’estero. Si chiama delocalizzazione. Quella che sperimentiamo in questi giorni a Napoli con Whirlpool e MeB e che le virtù nordiche hanno usato per fare cassa privata in vent’anni di governo del Partito Unico del Nord, incamerando i lauti incentivi per poi portare le fabbriche altrove con costi di manodopera molto più bassi. Ma questo è solo un aspetto della faccenda e non è questa la sede per approfondire il discorso.
Tuttavia che Bonomi parli di personalismi al governo, è per lo meno da comiche. E continuando il nostro cammino nel continuo nonsenso del Bonomi pensiero (che in verità perdura dalla sua nomina a presidente), ecco spuntare anche il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES): un errore non prenderlo, dice. Perché? Non è dato sapere. O forse sì. I 36 miliardi risolleverebbero le sorti della sanità, ovviamente quella privata, attraverso semplici partite di giro. Un’ipotesi? Certo, ma alquanto verosimile.
Cosa succederà quando gli altri Paesi ripartiranno? Se mettessimo in pratica i consigli di Bonomi rimarremmo fermi al palo per altri vent’anni! Inoltre se la cassa integrazione fosse abolita in favore dei licenziamenti, a fine pandemia si verificherebbe una nuova corsa alle assunzioni, ma in condizioni di sfruttamento per i lavoratori costretti ad accettare qualsiasi tipologia di contratto dalle imprese bonomiane, pur di portare a casa il pane. E sor Carlo c’avrà guadagnato due volte. Un progetto affine e perfettamente sovrapponibile a quello renziano (probabilmente identico perché portato avanti su commissione) che ai più potrebbe spiegare le vere ragioni della crisi e perché mai Matteo II si sia spinto tanto oltre.
Su una cosa, tuttavia, posso essere d’accordo con Bonomi: il piano del governo per il Recovery Fund non è adatto a cogliere un’occasione unica. Ma immediatamente le nostre strade divergono qui, perché mentre per Bonomi l’occasione è unica per riempire l’opulento Nord dei soldi europei e quindi operare ancora una volta assistenzialismo di stato, per noi si tratta di creare le condizioni favorevoli a Mezzogiorno per una ripartenza che veda tutti pronti ai nastri e soprattutto sulla stessa linea. Al Sud spetta il 70 % del Recovery Fund e non faremo un passo indietro, qualsiasi sia il Bonomi pensiero di turno.
d.A.P.