Riprende l’egoistica deriva autonomista. Questa volta in pole Fedriga e Fugatti che fanno sciacallaggio sul covid-19.
Benedetta riforma del Titolo V, la quale se certamente per noi altri è stato un male, ci ha infine aperto gli occhi su un aspetto del tutto non trascurabile che connota lo “Stato” confusionale chiamato Italia. Aspetto che coincide perfettamente, inoltre, con la definizione che del “bel” (solo per alcuni) paese ne diede Metternich: “La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle”. E se umilmente mi permetto di dissentire con il conte Klemens riguardo alla lingua, (il napoletano lo è altrettanto) mi sento di convergere su tutto il resto.
In 160 anni di storia “unitaria” l’Italia non ha mai smesso di essere un’espressione geografica perché totalmente latente di valore politico. E qualora non volessimo prendere in esame la storia moderna, potremmo sicuramente considerare quella strettamente contemporanea, ovvero dal 2001 a oggi. E se volessimo attenerci ancor più strettamente all’oggi, allora non potremmo non considerare le rinnovate richieste di sospensione del “patto di garanzia”, che vincola le regioni a contribuire alle finanze pubbliche, avanzato dalle regioni a statuto speciale del nord e dalle province autonome. Capofila Fedriga (Friuli Venezia Giulia) e Fugatti (Provincia autonoma di Trento) che insieme all’altoatesino Arno Kompatscher e al valdostano Erik Lavévaz, hanno reclamato, tutti insieme, 2 miliardi di euro. Motivazioni addotte? Il covid-19 che ha messo in ginocchio la loro economia.
E qui capiamo perché siamo una mera espressione geografica senza valore politico. In un paese realmente unito, che tutto insieme ha patito e patisce ancora la pandemia, si farebbe fronte comune per sconfiggerla sia sul fronte sanitario che su quello economico. Certamente quello che sta accadendo in tuti gli stati europei, ad eccezione di uno. Qui in Italia si ragiona da sempre con la logica del “prendi il malloppo e scappa” o ancora del “pochi (si fa per dire) maledetti e subito”. Come se la pandemia avesse interessato solo loro. I signori in questione hanno avanzato la richiesta, a voce, nell’ambito del primo incontro con la ministra agli Affari regionali Maria Stella Gelmini. Richiesta che fa il paio con l’altissimo esempio di valore politico elargito dal neo ministro al Turismo, Massimo Garavaglia che sul suo sito personale si fregia del motto leghista “Prima il Nord”.
E la Gelmini? In totale stato confusionale, quasi a rasentare l’ignavia. Da una parte dice di voler prendere in considerazione le istanze dei suddetti, dall’altro tiene a precisare che maggiore autonomia non significa disgregazione nazionale. E come darle torto? Una botta al cerchio e l’altra alla botte, nel segno dell’eterno immobilismo della politica italiana e del suo altissimo valore.
Chi ha voluto il governo dei migliori, tra i peggiori, ha invocato il cambio di passo che però c’è già stato vent’anni fa, quando si progettò la disgregazione, se mai ci fosse stata unità, dell’espressione geografica Italia. Ora le forze promotrici, le stesse di allora e di oggi, vogliono solo legittimarla arraffando il più possibile ai danni di coloro che hanno costantemente derubato, con la Gelmini inerme ad assistere allo spettacolo. E poi ognuno per la sua strada. Loro però, con le tasche piene di soldi e (dis)valore politico.
d.A.P.