La fine del governo Draghi non è una grave perdita. Potrebbe anzi rivelarsi un’opportunità. Ma per contare qualcosa alle prossime elezioni le forze politiche meridionaliste dovranno lavorare, e bene, a partire da due punti fondamentali.

Di Paolo Nino Catileri

L’ennesima crisi di governo e le prospettate elezioni ad ottobre potrebbero davvero costarci caro se al governo dovessero salire la destra meloniana con la Lega. A quel punto non ci sarebbero ulteriori ostacoli all’approvazione dell’autonomia differenziata in salsa Gelminiana (basata cioè sulla spesa storica e senza la definizione dei LEP) e il Sud si ritroverebbe in fondo al precipizio senza alcuna residua speranza di risalire la china.

 A leggere i giornali ed ascoltare i notiziari le dimissioni dei migliori sarebbero la fine del mondo, eppure morto un papa se fa sempre un altro. Non sentiremo la mancanza di questo governo la cui politica economica e sociale è stata apertamente contro il Sud. E se questi erano i migliori (tra i peggiori) una speranza di miglioramento esiste ancora.

Tuttavia, bisogna costruirla e coltivarla a partire da due nodi centrali tutti da sciogliere. Il primo è il frazionamento delle forze meridionaliste, il secondo la fine del populismo nelle “pance” vuote dell’elettorato meridionale. Partendo da qui è palese l’ultimo, in ordine di tempo, tradimento politico patito dal Sud. Il 2018 aveva consegnato ai furono 5 stelle (R.I.P.) un largo consenso sottoforma di voto di protesta contro una politica assuefatta alla ragion nordica. Un voto di pancia, si usa dire, ma le pance dei meridionali da quel momento in poi, se possibile, si sono svuotate ancora di più con la maggioranza relativa ostaggio della Lega, prima, e di Renzi, poi, (entrambi espressioni delle lobbies italiane) che ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza nel governare un paese e la parte di esso che gli aveva dato credito. Poi arriva Draghi, messo lì proprio da quelle lobbies, ma qualcosa è andato storto. Dunque, il populismo a 5 stelle è definitivamente tramontato poiché difficilmente i grillini ripeteranno l’exploit a Sud, mentre a nord resta in auge l’altro populismo, quello del Papeete e quello sovranista, di dura cervice perché basato sull’agiatezza di alcune “classi produttive” e sulla volontà di mantenerla a spese degli altri (vedi Autonomia Differenziata). Resta fuori dai giochi anche Mr. B. che del suo partito si ritroverà soltanto le macerie.

In questo scenario le forze meridionaliste dovranno cogliere l’opportunità per fare scacco in due mosse non proprio facili, ma propedeutiche ad un probabile successo (ovvero rappresentanza in parlamento). La galassia meridionalista è ampia e questa ampiezza è anche la sua debolezza. Bisogna invece unire le forze e fare massa come in un buco nero. Il tempo è poco, ma è sufficiente se non altro per instaurare un dialogo che possa risultare in un accordo tra le forze maggiori. Penso a Pino Aprile, Natale Cuccurrese, Claudio Signorile e Gennaro De Crescenzo. Come mettere insieme quattro personalità di questo calibro senza che si pestino i piedi gli uni con gli altri? Lavorando su ciò che unisce e tralasciando ciò che divide. Più facile a dirsi che a farsi! Obiezione lecita, ma resta pur sempre l’unica via, perché siamo ad un punto di non ritorno e l’alternativa è il baratro. È necessario iniziare a lavorare per il bene del Sud e non per le poltrone. Partendo da questo presupposto una simile coalizione, sotto un unico simbolo e con un unico nome, sarebbe attrattiva anche per le forze minori attraverso un programma che veda tra i punti principali l’abolizione del Titolo V della Costituzione, la cancellazione della spesa storica e la definizione dei LEP, un piano infrastrutturale peri il Sud che comprenda Gioia Tauro e il ponte sullo stretto fino a Bagnoli, l’ex Ilva, la sanità e la scuola. E questo tanto per cominciare.

La seconda mossa, una volta creato un minimo di massa critica, è quella di sondare il campo tra le forze del centro sinistra (non escludo a priori il PD ed ho già spiegato perché la destra sia inaffidabile) per capire quali di esse possa essere interessata al programma politico ed eventualmente entrare in una coalizione portando quelle istanze. Fossero anche solo dieci i voti in più in coalizione, ai grandi partiti non potrebbero che far comodo. Una simile coalizione, inoltre, potrebbe essere attrattiva anche per i tanti esponenti politici meridionali seri (pochi ma ce ne sono) sia nel Parlamento Europeo sia confluiti nei gruppi misti di Camera e Senato -per non tradire il mandato ricevuto- la presenza dei quali potrebbe conferire ulteriore linfa vitale alla federazione meridionalista.

Insomma, per quanto visionario ed ottimista (e io fino a prova contraria sono ottimista di natura) un simile scenario -per quanto ipotetico, ma non utopico- potrebbe essere un concreto punto di inizio per il nuovo soggetto politico confederato; ma occorre lavoro ed innanzitutto volontà di mettersi insieme superando le barriere ideologiche. Comprendere cioè che se anche esistessero un pensiero meridionalista di destra ed un altro di sinistra, è tempo di lavorare insieme per una politica meridionalista compatta e coesa che sia scevra da collocamenti emiciclici ed abbia come unico interesse il benessere dei cittadini del Sud.

Una speranza, la mia, e mi auguro una concreta possibilità. Diversamente il requiem ce lo canteremo da soli.          

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