Il nuovo sistema di misurazione della corruzione targato Anac dice quello che mezza Italia vuol sentirsi dire: quelli cattivi sono a Sud!
di Paolo Nino Catileri
Presentato ieri, il nuovo sistema di misurazione della corruzione targato Anac dice quello che la “parte produttiva” dell’Italia vuol sentirsi dire: quelli cattivi sono a Sud!
La novità consisterebbe nel fatto che tale misurazione non si baserebbe più sui parametri di “percezione della corruzione”, bensì su criteri oggettivi di valutazione dei rischi di corruzione di un territorio su base interattiva per ogni area del paese. E così se la Lombardia era la regione “percepita” come maggiormente corrotta, adesso si ritrova ad essere la più virtuosa.
Cose che capitano se modelli i parametri di valutazione a tuo piacimento; il risultato ottenuto sarà, ovviamente, ciò che volevi dimostrare. In soldoni il giudizio e l’esperienza tangibile dei contribuenti (cittadini, imprese, grandi finanziatori) sono stati sostituiti da sterili “indicatori scientifici” basati su quattro macroaree: criminalità, istruzione, capitale sociale, economia del territorio. Dove sono stati presi i dati? Ovviamente dall’Istat che notoriamente non è tenera con il Sud. Chi ha condotto lo studio? L’Università Cattolica di Milano e La Sapienza di Roma. Nessuna Università del Sud coinvolta. Studio pilotato? Potrebbe essere, anche alla luce del fatto che, ad esempio, per la macroarea “istruzione” si individuano indicatori compositi che a livelli più bassi di istruzione nella popolazione associano livelli più alti di corruzione. E questo perché si presuppone, da uno studio che viene anche citato nel documento, che “gli individui con livelli di istruzione più elevati abbiano acquisito competenze e conoscenze che li rendono più consapevoli del valore delle libertà civili e meno tolleranti nei confronti della corruzione (Akcay, 2006; Truex, 2011)”. Sarebbe lecito supporre che alla Cattolica e alla Sapienza abbiano fatto un copia incolla per concludere che dove ci sono più diplomati e laureati (indicatori della macroarea istruzione) c’è meno corruzione rispetto a dove i Neet la fanno da padrone? E considerando che al Sud i giovani abbandonano il territorio per laurearsi negli atenei del nord, quale quadro generale poteva scaturire dallo studio condotto se non quello che si voleva dimostrare?
Lo stesso discorso vale per la macroarea economica. Nel documento si legge che “l’alto livello e il grado di uguaglianza nella distribuzione del reddito, l’occupazione, la capacità di attrarre investimenti interni ed esteri e di favorire la nascita e la crescita di attività imprenditoriali, l’intensità della competizione nei mercati, la libertà economica, sono fattori che si associano a bassi livelli di corruzione (Apergis et al., 2010; Dimant e Tosato, 2018). Inoltre, a livelli elevati di utilizzi di Internet è associato un livello di corruzione più basso in quanto la rete favorisce la diffusione di informazioni che rappresentano uno strumento di controllo dell’esercizio dei poteri pubblici (Andersen et al., 2011; Goel et al., 2012; Elbahnasawy, 2013). Infine, una gestione efficiente dello smaltimento dei rifiuti urbani, spesso esposta alla corruzione in quanto oggetto di cattura da parte degli operatori economici e della criminalità organizzata, è associata a bassi livelli di corruzione (Liddick, 2010; Romano et al., 2021)”. Anche qui con tanto di citazione degli studi considerati e il solito sospetto del copia incolla. Ovviamente se si considerano indicatori quali il reddito pro capite, la percentuale di occupati, il tasso di imprenditorialità, l’attrazione di capitali, la diffusione della banda larga e la raccolta differenziata, ne risulta un paese spaccato in due: da una parte i buoni, dall’altra i cattivi.
Non mi dilungherò sul resto lasciando a voi lettori il compito di approfondire. Voglio però porre un punto di riflessione. Logica vorrebbe che chi ha un’istruzione superiore sia maggiormente capace di entrare nei meccanismi corruttivi e, se particolarmente abile, riesca anche a farla franca intascando il malloppo ed uscendone pulito. Inoltre, sempre a rigor di logica, dove la circolazione di denaro è maggiore, maggiore è la possibilità di mazzette. Expo e Mose ce lo insegnano (e forse anche le prossime olimpiadi invernali, chissà) eppure pare non rientrino nella casistica da considerare perché ormai commissariati. Se poi si considera il fine dichiarato dello studio dell’Anac cioè “mettere a disposizione dei vari stakeholders coinvolti nei processi di gestione degli appalti una solida base dati utile al supporto decisionale” di fronte ad una mappa di un paese diviso tra buoni e cattivi, dove credete che i soldi arriveranno a pioggia? All’Anac però si giustificano: gli indicatori non sono né un giudizio né una condanna.
Insomma, diciamolo chiaramente anche agli stakeholders: se volete la vera mappa della corruzione in Italia, considerata la credibilità dei criteri adottati, conviene capovolgere quella dell’Anac e leggere al contrario la classifica. Non è una condanna, ma certamente un giudizio.