È solo l’inizio, ma sembra già la fine. Il Sud ha le ore contate nei discorsi dei neopresidenti di Camera e Senato.

Di Paolo Nino Catileri

Al Senato e alla Camera i discorsi dei rispettivi neopresidenti segnano il percorso dell’apologia della dottrina della superiorità nordica nei confronti di quelli italianamente diversi. Noi, il Sud.

Il cooptato patriota nordico La Russa in uno sfoggio di memoria storica, corta, risponde all’augurio di Liliana Segre che il 25 aprile possa essere la festa nazionale di tutti (e già non lo è perché si festeggia la Milano liberata e non Napoli liberatasi da sola 8 mesi prima), chiedendo che anche il 17 marzo diventi festa nazionale; che si festeggi cioè l’inizio della schiavitù meridionale, dell’emigrazione, della povertà, dei massacri di persone inermi. Che si festeggi l’inizio del colonialismo interno che sopportiamo da 161 anni, che si festeggi l’alienazione dei diritti costituzionali perpetrato ai danni di un terzo della popolazione: quelli italianamente diversi.

Alla Camera invece il veneto Lorenzo Fontana è già diversamente superiore agli altri (perché veneto) e proclama l’autonomia quale unico strumento politico per la valorizzazione delle diversità. Perché si sa, Veneto Uber Alles e il resto tutti (ma proprio tutti) diversamente veneti.

E siamo solo all’inizio, ma sembra già la fine. La fine di un paese farsa e falso tenuto a malapena incollato nei suoi pezzetti grazie allo sfruttamento delle risorse del pezzo più grande conquistato prima e distrutto poi che ha pagato il prezzo più alto per la gloria dei pochi. Questo è il modo italianamente unico di proclamarsi diversi, superiori; è il modo italianamente perverso di dichiarare e certificare che questa accozzaglia di diversità, divise a loro volta tra superiori e inferiori nella concezione politica dei conquistatori, non potrà mai giungere ad una unità.

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