Se leggere un libro, l’ultimo di una lunga serie di autorevoli personaggi, nel quale vengono esposti alcuni aspetti, seppur fondamentali, dei temi trattati nelle loro pubblicazioni, equivale a poter dare un giudizio globale sulle stesse tematiche senza aver letto quelle stesse precedenti pubblicazioni, allora anche io posso dare un giudizio su “Attenti al Sud” (P. Aprile, M. De Giovanni, M. Cangemi, R. Nigro). E lo faccio alla luce del fatto di aver letto Aprile e Cangemi e non dubitando che l’intento di De Giovanni e Nigro sia lo stesso. Quello cioè di analizzare, in questo libro, un aspetto della cosiddetta questione meridionale evidenziandone le sfumature in contrapposizione alle nette distinzioni ad opera del potere dominante. Gli autori, cioè, vogliono capire e soprattutto far capire le origini e le mille sfaccettature dell’orgoglio di una identità che esonda a 360 gradi nella società civile “sudista”, plasmandola, trasformandola e riportandola, anche e soprattutto attraverso la creatività lavorativa, a quel tenore se non splendore che le compete. In verità ho provato ad acquistarlo (il libro) ma non sarà disponibile prima del 14 ottobre; allora mi sono detto (ribadendo il concetto espresso in apertura), dopo aver letto l’articolo del prof. Massimo Adinolfi sul Mattino di oggi (Il neo-meridionalismo dell’orgoglio terrone), che avrei potuto scriverne comunque, visto che da quella pagina, la 15, trasuda la più banale posizione qualunquista rispetto al tema; qualunquismo che scaturisce dalla più completa ignoranza rispetto a ciò che si scrive. E tuttavia, a onor del vero Adinolfi, dimostrando (con mio sommo stupore) di aver colto qualcosa dalla lettura,  nel trafiletto “La scelta” dice che l’intento degli autori è far comprendere che il Mezzogiorno non è “o solo ombre o solo luci” come lo considera il “dibattito nazionale” (che dura da 156 anni!), ovvero lui stesso; salvo poi tornare sui suoi passi, quando nell’altro  trafiletto “L’analisi” dice che “Rivendicare storia e memoria non basta a superare le cause del sottosviluppo”; e siamo tornati immediatamente alla visione di luci e ombre. Tuttavia mi piacerebbe chiedere al professore cosa egli possa rivendicare per sé stesso, per superare il suo immobilismo storico! Una simile affermazione nei confronti del popolo meridionale, è inammissibile e ascrivibile al più bieco dei razzismi. Se consideriamo che proviene da un campano, poi, siamo al colmo! Ma torniamo all’articolo: se è vero com’è vero, che la crisi ha accentuato al Sud più che al nord le differenze sociali e tutti i tratti negativi che si porta dietro, e che nell’ultimo anno (fonte Istat citata dal professore) la situazione è nettamente migliorata “con la Campania che cresce più della media nazionale e del centro-nord”, è anche vero che le politiche pubbliche che hanno permesso un tale salto di qualità non sono frutto di quella che la Lega & C. chiamerebbe Roma Ladrona, bensì delle politiche regionali e locali, adottate da una classe dirigente che sembra essere all’altezza. La cosiddetta questione meridionale, tuttavia, non si esaurisce nell’economia, ma si allarga nel sociale, nella storia, nella religione, nella letteratura, nelle mafie, e nel territorio. La sfido, caro professore, a dimostrare il contrario. Shakespeare faceva dire da Amleto al suo amico Orazio “ Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia” e la sua, professore, aggiungo io. Ecco, questo è il Sud : luoghi, persone, territori, tradizioni che oltrepassano qualsiasi tentativo di incasellamento e omologazione filosofica o sociologica da parte sua e dei suoi degni compari. Ecco perché Aprile ha ragione quando dice (e non si meravigli troppo professore!) che il Sud sta reinventando il mondo. Ognuno fa fuoco con la legna che ha; ma il nord l’ha fatto con la nostra! E non è un lamento, professore, è storia! Storia vera! Quella dalla quale scaturisce ogni meridionale e quindi anche lei (essendo nato a Baronissi); lei che però è l’esempio più lampante di come un meridionale che si sposta poco più a nord di Caserta, è immediatamente pronto a denigrare e rinnegare la sua terra per pulirsi la faccia dal fango che dal nord gli hanno buttato in faccia, accusandolo poi di essere sporco! Tuttavia non si preoccupi: personaggi molto più illustri lo hanno già fatto prima di lei, più di 150 anni fa!

Le “tre caratteristiche inconfondibili e ricorrenti  in certa saggistica sudista”, sono diverse da quelle che lei cita e sono le seguenti: Storia, Politica, Società. Nessuno degli autori del libro ha mai accomunato il meridione d’Italia a “tutti i sud del mondo”(forse lei si confonde con una celebre canzone di Bennato; Eugenio però); né vanno a dire in giro che qui da noi si ricercano percorsi di modernizzazione alternativi e in contrapposizione a quelli imposti dall’Occidente e dall’Europa! Tuttavia la mia domanda è: professore lei può documentare queste affermazioni? Le ha lette nel libro? Ha altre fonti? (perdoni sono tre anche le domande!). La storia forma il mondo e se noi insistiamo sulle ingiustizie e sui torti della politica italiana unitaria dal 1861 ad oggi, è perché essi sono fatti documentati! Legga Vittorio Daniele e Paolo Malanima “Il Divario Nord-Sud in Italia 1861-2011″; poi ne riparliamo!

Se la nuova politica unitaria, avesse fin dall’inizio, fatto partire la gara tra nord e Sud ad armi pari (valorizzando i porti, l’industria meccanica e siderurgica e il tessile, per esempio) saremmo stati davvero uniti! Se poi, come lei si chiede nell’articolo, volesse conoscere le ingiustizie e i torti dei governanti pre-unitari nella penisola, le suggerisco, prima di scendere al Sud, come Garibaldi, di partire dal Piemonte!

Inoltre, non crede ad Aprile che “insite […] sulla colonizzazione del Mezzogiorno da parte del Nord”; denigra chi parla della bellezza paesaggistica e naturale del Sud, affermando che ci sentiamo fortunati ad essere stati estromessi dal “corso principale della modernità e dalle sue brutture”; afferma che, siccome siamo vittime del pregiudizio, nel libro non si parla dei nostri vizi, ma solo delle nostre virtù. Ma la cosiddetta questione meridionale è molto più dei vizi e delle virtù di un qualsiasi popolo!

Come spiega lei, professore, che il Friuli Venezia Giulia, più piccolo della Lucania, abbia un aeroporto, ferrovie, autostrade, e la Lucania, nel 2017, no? Come spiega che Matera, patrimonio dell’umanità, non sia raggiungibile, nel 2017, con mezzi pubblici? Come si pone di fronte al fatto che alla Lucania, che fornisce all’Italia il 10% del suo fabbisogno di petrolio, spettino, nel 2017, solo il 7% di Royalties (e alla Sicilia il 4%) contro il 95% della media Norvegese, el’85 % (per rimanere al Sud) della Nigeria (che di fatto è una colonia)? Perché il porto di Gioia Tauro (tra i primi in Europa) non è collegato con la terra ferma, ma serve solo da interscambio (o deposito faccia lei) navale di merci e containers? Questo non è colonialismo? Questi non sono vizi del sistema economico italiano che danneggiano e arginano definitivamente l’economia industriale meridionale? Questa non è storia (del presente) per lei? E allora professore mi pongo la sua stessa domanda: da dove deve ripartire quello che voi altri appellate ed incasellate, filosoficamente,  neo-meridionalismo?

Il Sud, allora, riparta da sé stesso valorizzando sé stesso attraverso la genialità del suo popolo: e penso, tra gli altri, al turismo, all’agricoltura biologica, all’enogastronomia, alle piccole realtà industriali d’eccellenza; e potrei fare nomi e cognomi di amici che sono tornati dall’estero o che hanno cominciato a lavorare la terra con una laurea in Ingegneria! Un modo alternativo, finanziato nella maggior parte dei casi con fondi di sviluppo europei! Chi è contro l’Europa, professore?  La cosiddetta questione meridionale non è una questione di orgoglio ferito; nessuno lo ha mai affermato, tanto meno gli autori del libro. Noi rivendichiamo la nostra gloriosa storia, le nostre nobili origini, la nostra memoria, non per rinnegare o “superare” (come lei cinicamente afferma) le nostre presenti contraddizioni; non per consolarci dei nostri mali; bensì per ricordare a noi stessi che non siamo carne da macello per il nord; per fissare nelle nostre coscienze la consapevolezza di non essere inferiori a nessuno (come ci hanno subdolamente iniettato per 156 anni nel nostro cervello); per vivere, lavorare e morire a casa nostra senza doverla più rinnegare; per combattere e raddrizzare le nostre contraddizioni! Le nostre speranze si fondano su questa certezza presente: non siamo “discosti dalla prosaicità del presente”, ma lo viviamo con la consapevolezza di voler fare la nostra parte per raggiungere il comune obiettivo. Si chiama realismo! Lo stesso realismo che fa dire al Caligola di Camus: “Siate realisti: chiedete l’impossibile!”.  Lo stesso realismo che ha fatto scrivere a Del Boca (che non è del Sud) “Maledetti Savoia”! E se lei e altri come lei, avvertono la necessità di denigrare e ridicolizzare, un giorno sì e l’altro pure, una tale coscienza popolare, siete i benvenuti, perché siete la conferma, il segno tangibile che noi siamo sulla buona strada! Però si ricordi, professore, che la carta costa!

d.A.P.

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