Tutti d’accordo. Piazzale Tecchio e Via Vittorio Emanuele III (a Secondigliano) cambieranno nome rispettivamente in Piazza Giorgio Ascarelli e Via Salvatore Morelli. Tecchio deputato fascista e il sovrano reo di avere appoggiato le leggi razziali. Queste le motivazioni del sindaco. Eppure il primo cittadino ha perso una grande occasione: quella di ricordare insieme ai napoletani le origini e la vera storia di un grande popolo, operando un processo di revisione toponomastica che insieme al deciso rinnegamento del fascismo avrebbe dovuto contemplarne uno ancora più fermo nei confronti della casa piemontese. Il ché ha dato adito, prima ai Savoia e poi ai neo-borbonici, di strumentalizzare il fatto perdendo di vista le motivazioni del gesto che sono antifasciste, ma non anti-savoiarde. Allora ecco la lettera, storicamente assurda, di Emanuele Filiberto sulle pagine de “Il Mattino” e la replica di De Crescenzo, senz’altro dovuta per le discutibili argomentazioni portate a supporto del bisnonno da parte del Savoia. Tutto vero e condivisibile ciò che il professore illustra, ma dimentica, o sembra dimenticare, che il Sindaco non ha operato alcun processo di revisione storica, poichè Morelli era un fervido liberale e anti-borbonico e Ascarelli il fondatore del Calcio Napoli. Vi invito a leggere le lettere, ma soprattutto invito il sindaco De Magistris a prendere una posizione netta rispetto alle vicende storiche che videro il Regno delle Due Sicilie distrutto dalla barbarie savoiarda. L’occasione l’avrà il prossimo 13 febbraio durante la “Giornata per la memoria delle vittime meridionali dell’Unità d’Italia” che si celebrerà in Puglia: a Napoli, infatti, c’è un Corso bellissimo che dall’Infrascata (Salvator Rosa) conduce fino a Piedigrotta e dal quale si godono viste fantastiche sul golfo: è intitolato a Vittorio Emanuele II l’usurpatore, ma in realtà è corso Maria Teresa Isabella d’Austria, prima tangenziale di Napoli voluta da Ferdinando II, che l’architetto Franco Lista descrive sublimemente: “Un percorso di rara bellezza, poiché dalla nuova strada si godeva uno straordinario paesaggio: la città sottostante con il suo antico tracciato e le sue numerose cupole e campanili, il mare, il Somma-Vesuvio, la penisola sorrentina con i rilievi del Faito, l’insenatura di Mergellina, il promontorio di Posillipo; il tutto in una cornice di verde con i pini svettanti […] Il tracciato della strada non solo era felicemente funzionale nel favorire quella che noi, oggi, chiamiamo mobilità territoriale, disimpegnando la città dal suo difficile attraversamento, era anche di armonico inserimento nell’insieme paesaggistico, poiché assecondava una curva di livello, con limitati “sterri”, pochi “riporti” di terreno e un ponte di limitata luce.
Un vero capolavoro di tracciato topografico che con le sue curve presentava una vera e propria sequenza di vedute sul golfo, suscitando l’ammirazione dei cittadini e dei forestieri, a cominciare da Gregorovius.
Di questo straordinario valore panoramico erano consapevoli i progettisti e le stesse autorità borboniche, le quali, con una apposita “Sovrana risoluzione”, datata 31 maggio 1853, avevano così disposto: “Lungo la novella strada Maria Teresa sia vietato ai proprietari di fondi alzare edifici, muri o altre costruzioni le quali impediscano o scemino la veduta della Capitale, de’ suoi dintorni e del mare, dovendo rimanere affatto scoverta la visuale della strada medesima dalla Cesarea ad andare a Piedigrotta.”
E’ senz’altro da ammirare la chiarezza e la precisa essenzialità di questa “Sovrana risoluzione”, nell’inevitabile confronto con le criptiche determinazioni degli attuali disposti legislativi [pienamente d’accordo – ndr]”.
Allora, sig. Sindaco, perché non conferire nuovamente al Corso il suo nome originario o ancor di più intitolarlo al sovrano che lo ha voluto? E quale occasione migliore del 13 febbraio prossimo per inaugurare Corso Ferdinando II di Borbone?
Sarebbe il segno inequivocabile da parte sua verso i napoletani e verso l’Italia intera, che la nostra storia non è in vendita e non basta eliminare, per dirla con de Crescenzo, i simboli dai teatri o cambiare i nomi alle strade per farci dimenticare chi siamo; o per lo meno non più come in passato. Abbiamo riscoperto le nostre radici e ne siamo orgogliosi: questo infastidisce l’opinione pubblica; e questo è il punto dal quale bisogna partire per rendere grande la nostra terra!
d.A.P.