Se andate in rete e cercate “Tremonti-Regno delle Due Sicilie” è probabile che tra i risultati della ricerca vi compaia un’intervista della Annunziata all’ex ministro Tremonti, nella quale quest’ultimo afferma che l’Europa delle banche vuole far fare all’Italia la stessa fine che i Piemontesi fecero fare al Regno delle Due Sicilie. Vi assicuro che dopo il 27 maggio, non siamo per niente distanti dalla realtà.
Segnatevi questa data perché dopo oltre due mesi di discussioni, confronti, contratti da firmare e (finalmente) conferimento dell’incarico di formazione del governo, in un attimo crolla tutto a causa di un nome: Savona.
Ma è davvero Savona il problema? Lui l’ostacolo insormontabile? Mi sembra inverosimile e alquanto paradossale. Paradossale nello sviluppo, paradossale nelle motivazioni.
Nello sviluppo, perché se è vero che il ruolo del presidente della repubblica italiana deve essere quello di garante della costituzione rispetto alle figure che il nascente governo propone ai ministeri, è vero anche che della sua garanzia sulla idoneità della persona proposta, ne risponde nei confronti del popolo italiano che, fino a prova contraria, peraltro avuta, è sovrano.
Savona, secondo Mattarella, non sarebbe la figura adatta per cambiare l’UE, cito, “vigorosamente” dal punto di vista italiano a causa di quanto dichiarato e scritto nei suoi libri; ma la costituzione, della quale Mattarella è garante, non prevede libertà di pensiero e di parola?
Il presidente della repubblica aveva chiesto una figura che fosse in linea con l’accordo di programma e che non fosse vista come una minaccia dalle agenzie di rating, da Bruxelles e dalle banche, al fine di preservare, cito, “i risparmi degli italiani”. Ma da quando sono le agenzie di rating e Bruxelles o la Germania a formare i governi eletti? Ah sì, in Italia da un bel po’!
Tuttavia suppongo che Mattarella si riferisse ai suoi risparmi, perché gli italiani non ne hanno più (o quasi) e di questo passo finiranno tutti a lavorare per ripagare alla Germania i 443 miliardi di debito, che intanto cresce al crescere dello spread che, a sua volta, Mattarella non è riuscito ad arginare con le sue sagge decisioni.
Per chi non lo sapesse, alla Germania gli interessi versati dall’Italia sullo spread tra BTP e BUND fanno molto comodo. E la Germania non ha alcuna intenzione di far scendere lo spread italiano, ma di mantenerlo costante nell’intorno basso dei 200 punti, perché è come avere un vitalizio che le permette di esportare, tra le altre cose, gli stessi prodotti delle industrie italiane ad un prezzo minore, dato il minore costo del denaro che abbassa i costi di lavoro e di produzione dei tedeschi. Voi da chi comprereste? È un caso che l’industria italiana, all’avanguardia nel mondo fino al 2002, sia andata via via in difficoltà fino ai livelli odierni? Come si fa? Impedendoti di sforare sul rapporto deficit/pil (che prima dell’euro veniva tenuto a bada attraverso la svalutazione della lira). In questo modo tieni sotto controllo, ovvero bloccata, l’economia italiana ed eviti una ripresa che ci sarebbe sicuramente se quel rapporto fosse appena portato al 5%. Mattarella questo lo sa bene, ma subisce il ricatto franco-tedesco. Inoltre, il suo giudizio di garanzia sulle figure che avrebbero dovuto ricoprire ruoli istituzionali nel governo, avrebbe dovuto essere esclusivamente mirato a proteggere l’Italia, l’unità nazionale e gli italiani e non a compiacere i mercati (operazione di fatto non riuscita) e a tutelare il tenore di vita dei tedeschi che ci stanno usando come bancomat.
A me è sembrato che l’Italia sia stata impacchettata e consegnata alla culona di Berlino; a maggior ragione conferendo l’incarico a Cottarelli che è un teorico dei tagli e dell’austerity tanto cari alla Merkel e a Bruxelles. Domanda: se Cottarelli non è riuscito, con il governo Letta del quale lui era ministro e dal quale era sostenuto, ad attuare una seria spending review, rimanendo deluso dal muro della burocrazia, davvero nutre speranze di riuscirci adesso che la maggioranza parlamentare gli è contro? No, e di fatto è ancora nel congelatore.
Ma poi c’ho riflettuto un po’ su e mi sono chiesto: ma non è che questi a Parigi e a Berlino hanno molta più paura dell’uscita dell’Italia dall’Euro, di quanto Savona e il nuovo governo mai nato, realmente ne avessero l’intenzione? Eh sì, perché nel programma di governo non era specificata alcuna richiesta di uscita dall’UE, ma un “vigoroso”, per continuare ad usare le parole del presidente, rivedimento della politica economica dal punto di vista italiano, sì. Ma allora perché la ferma opposizione? Perché l’Italia è sovrana su tutto, tranne che sulla sua politica economica e sulle sue coste. Per questo nelle intenzioni di Mattarella occorreva posizionare sullo scacchiere, una figura che, non apparisse agli occhi europei di rottura (un Giorgetti di turno per intenderci), perché se solo il governo italiano pensasse, per assurdo, di uscire dall’UE, allora l’Italia diventerebbe padrona del proprio destino in grado di decidere autonomamente e questo non va bene; ma soprattutto se mandasse all’aria il debito pubblico (che badate bene non è il deficit), non pagandolo, poi dovrebbero farci la guerra. Inoltre l’asse franco-tedesco perderebbe la sua testa di ponte nel Mediterraneo, che al momento consente liberamente a Francia e Germania, che già hanno seriamente limitato il nostro export attraverso la politica monetaria europea, lo scalo delle loro merci in porti e aeroporti di fatto a costo zero e permette loro altresì, un filtro radicale all’immigrazione. E potrei continuare. Quindi a guardar bene tutta la vicenda emerge come probabilmente sul lungo periodo gli svantaggi di una, ribadisco improbabile, uscita dell’Italia dall’euro siano più i loro che i nostri.
Il nostro debito pubblico, infatti, come quello di qualsiasi altro stato, può essere comprato: Cina, Russia, India…farebbero la fila ed in cambio ci sarebbero rapporti commerciali molto più proficui anche a livello infrastrutturale. Certo sarebbero sacrifici, ma con la prospettiva di riacquistare, sul lungo periodo, la nostra sovranità lavorando e producendo per il bene del popolo italiano e non per pagare la nostra tassa alle lobbies europee. Ma di fatto porteremmo alle porte il nemico di Parigi e Berlino e questo non va bene. Quando è stata la prima volta che abbiamo sentito parlare dello spread? Era il 2011 quando Berlusconi fu esautorato da palazzo Chigi dal per l’appunto famigerato spread! Il perché, tuttavia, non è noto ai più: Tremonti, infatti, aveva intenzione di rivedere i trattati di Maastricht in modo “vigoroso” dal punto di vista italiano (proprio come Savona) e non contribuire al salvataggio delle banche greche e spagnole e quindi, indirettamente, di quelle francesi e tedesche. Puntualmente arrivò la lettera tedesca (BCE) all’allora presidente Napolitano. Il quale su indicazioni della culona di Berlino fece dimettere il governo e chiamò Monti (il Cottarelli di turno). Terminata l’opera di drenaggio nei nostri portafogli, arrivò Letta che cadde nel 2014 sotto i colpi del rottamatore Renzi, il quale a sua volta è stato rottamato da Gentiloni nel dicembre 2016. Monti e Letta e Renzi uomini di Bruxelles e delle lobbies bancarie, Gentiloni loro mite compare. E il popolo? Chi cura i suoi interessi? Tremonti quindi come Savona! Chi l’avrebbe mai detto! Chi osa sfidare lo spread, Maastricht e Berlino nell’interesse italiano, perisce sotto i colpi del mercato e delle lobbies, che sia di destra o di sinistra.
Ma chi informa il mercato influenzando il suo andamento? I giornali e le agenzie stampa. E chi informa i giornali e le agenzie stampa? Le agenzie di rating. Di chi fanno gli interessi le agenzie di rating? Dei grandi investitori internazionali e degli speculatori: curano in sostanza interessi personali traendo profitto dalle difficoltà altrui. Il cerchio è chiuso.
Inoltre, a pensarci bene, Il rapporto debito pubblico/pil è una semplice frazione: il suo risultato varia al variare del numeratore e del denominatore. Esso si approssima allo zero, ovvero al pareggio di bilancio, al diminuire del numeratore rispetto al denominatore, o, viceversa, all’aumentare del denominatore rispetto al numeratore. Potremmo quindi dire, semplificando un po’ le cose, che Cottarelli è uno che presta più attenzione al numeratore che può essere diminuito attraverso i tagli, l’aumento delle tasse ed in generale il regime di austerity che frena l’economia e gli investimenti a danno dei cittadini e delle imprese i quali, se sono poveri o in difficoltà saranno costretti a mendicare o a chiudere bottega, oppure, se sono ricchi, ove non dovessero aumentare la loro ricchezza, perlomeno avrebbero i mezzi per fronteggiare la crisi con i propri risparmi o attraverso i licenziamenti a causa del costo del lavoro altissimo. Al contrario Savona, e “quelli come lui”, è uno che guarda al denominatore per farlo crescere attraverso l’aumento di investimenti ad alto moltiplicatore i cui fondi iniziali sarebbero reperiti dal famoso 5% sul deficit di cui vi ho parlato prima. Stiamo infatti parlando di una differenza di 2.2 punti percentuali: abbastanza per farcela. All’inizio, ovviamente, il debito aumenterebbe ma sul lungo periodo gli investimenti ad alto moltiplicatore farebbero aumentare il denominatore della frazione, mantenendo stabile il numeratore, facendo quindi tendere allo zero entrambe le frazioni (Debito Pubblico/PIL e Deficit/PIL).
Ma se tutto questo non dovesse soddisfare la culona, c’è un metodo efficacissimo studiato dagli economisti italiani Marcello Minenna (direttore Consob), Roberto Violi (direttore Bankitalia), Giovanni Dosi (professore ordinario all’università Sant’Anna di Pisa ) e Andrea Roventini (professore associato sempre a Pisa) supportati anche in sede Ocse (dal policy advisor del Tuac Ronald Janssen): assicurare il debito. Lo spiega bene Milena Gabbanelli: “L’idea è quella di togliere il debito dalle spalle degli Stati — non farne più di nuovo — e assicurarlo attraverso un vero Fondo Salvastati (quello attuale, l’Esm, è sotto lo scacco della Germania). Facciamo un esempio: quest’anno all’Italia scadono un miliardo di titoli di Stato? Quel miliardo va rifinanziato, e il Tesoro lo fa emettendo sul mercato titoli a tassi di interesse più bassi pagando una polizza al fondo, che assicura gli investitori dai rischi. Lo stesso fanno tutti gli Stati membri, man mano che il loro debito scade. Chiaramente la polizza italiana costerà di più di quella francese o tedesca, ma intanto ti levi un rischio, e tempo 10 anni, tutti i Paesi avranno tutto il debito assicurato. A quel punto, con un unico soggetto garante, il debito avrà un solo tasso di interesse uguale per tutti. Il Fondo cosa ci fa con tutti questi premi assicurativi? Li può usare anche per finanziare investimenti pubblici mirati, attraverso il controllo del Comitato Fiscale Europeo, che valuterà di quali opere strategiche ogni Paese membro ha realmente bisogno. Quindi in Italia per esempio non si farà più l’autostrada inutile, ma magari il Porto di Gioia Tauro sì perché, essendo il fondo chiamato a rimborsare il debito se qualcuno non lo paga, deve essere certo di avere un ritorno. E gli investimenti fatti bene portano crescita, aumento del gettito e pertanto diminuzione del debito. Vuol dire avere uno Stato federale dietro una valuta. Insomma una visione d’Europa che guarda avanti. Il nuovo governo italiano, quando ci sarà, deve decidere cosa vuole: un’Eurozona vera, o quella finta, dove finiamo sempre col subire le decisioni degli altri. L’occasione è l’incontro dell’Eurogruppo di giugno, e sul tavolo ci deve stare anche la nostra proposta: quella di una condivisione dei rischi a prezzo di mercato, contro quella dell’«ognuno per sé» tanto cara ai tedeschi”.
Questa nuova via alla soluzione del debito pubblico, presuppone che il ministro dell’economia italiano, chiunque sarà, non subisca il ricatto tedesco, ma abbia il coraggio di opporsi ad un ricatto con un altro: “O si fa come dico io o ce ne andiamo sbattendo la porta” e, si dice dalle mie parti, “Chi s’è vist’ s’è vist’”.
Se Di Maio e Salvini sono in cerca di nomi alternativi per il ministero dell’economia, Marcello Minenna, Roberto Violi, Giovanni Dosi e Andrea Roventini, ideatori dell’assicurazione sul debito pubblico, sarebbero i candidati ideali. Ci pensino pure, ma facciano in fretta: giugno è vicino e all’incontro dell’Eurogruppo non possiamo presentarci con un tecnico o peggio con un tecnocrate di Berlino.
d.A.P.