C’è un piano, neanche tanto velato, che circola nei palazzi europei e che prevede di lavorare congiuntamente per l’indebolimento e l’estromissione dell’Italia dall’Europa e dallo scacchiere internazionale.

John Lennon cantava “you may say I’m a dreamer, but I’m not the only one” ed è la mia obiezione a chi mi definisce complottista e visionario. A costoro bisognerebbe ricordare che la storia è narrata dai vincitori, ma quella vera si gioca nei suoi retroscena più reconditi. Ci vorrà molto tempo e tanta pazienza, ma se nessun governo presente e a venire comincerà ad alzare la voce, e soprattutto ad agire prima di parlare, l’esito sarà scontato.

Protagonista, insieme alla Germania e all’intera tecnocrazia europea, è, manco a dirlo, la Francia. Questi signori spostano e puntano l’attenzione dei media e dei mercati costantemente sulla “disastrata” situazione italiana, celando sistematicamente, quella certamente non meno preoccupante francese. 

Il gioco si sviluppa internamente, impedendo ai governi italiani di operare scelte importanti per una seria ripresa economica ed esternamente combattendo gli interessi italiani all’estero. Protagonista, insieme alla Germania e all’intera tecnocrazia europea, è, manco a dirlo, la Francia. Questi signori spostano e puntano l’attenzione dei media e dei mercati costantemente sulla “disastrata” situazione italiana, celando sistematicamente, quella certamente non meno preoccupante francese. Fandonie? Non proprio. Il quotidiano economico Les Echos, che italiano non è, nel dicembre 2017 definiva la Francia come la più indisciplinata relativamente alle regole di bilancio europee. In effetti il debito pubblico francese ammonta, euro più euro meno, a 2.218 miliardi ad un passo dal 100% (quello italiano è di 2.323 mld al 133%), senza contare la spesa pubblica tra le più alte d’Europa, al 56,5% (la nostra si attesta al 47%). Se poi considerate che nel 2018 la Francia ha emesso titoli per 75 miliardi e l’Italia per 44 portando i rispettivi stock di debito a 225 e 235 miliardi, ci si rende conto che in proiezione i nostri “odiati” cugini stanno per superarci con nostro sommo piacere. La tendenza francese, quindi, è quella di un paese costretto ad indebitarsi sempre di più e lo si capisce se si considerano i parametri del debito aggregato (che guarda caso non sono i parametri europei) ovvero i livelli di indebitamento di tutti gli attori economici (Stato, imprese, banche e famiglie). Seguendo questa classifica la Francia si scopre improvvisamente il paese europeo più esposto finanziariamente “che ricorrendo al debito sta vivendo l’oggi più di tutti con i mezzi del domani” (Il sole 24 ore – 31/08/2017). Ricorrere al debito all’Italia non è stato permesso, alla Francia si; e dopo 10 anni dal 2007 il rapporto deficit/pil a Parigi è sceso sotto il 3% al 2,6 (secondo i parametri europei) con una crescita del Pil al 2% nel 2017 trainata dagli investimenti a +4,4% e dai consumi a +5,4%, con una produzione che accelera del 2,4%. Si potrebbe concludere che la non pubblicizzata (a livello mondiale) concessione europea di sforamento abbia tenuto su la Francia che, altrimenti, sarebbe andata gambe all’aria. Se, infatti, ragionando ancora in termini di debito aggregato, si somma l’esposizione delle società (circa 160% del Pil), delle banche (90% ) e delle famiglie (60%) il risultato è che il sistema economico transalpino è ostaggio di una leva enorme, che supera il 400% del Pil, cioè 9mila miliardi di debiti cumulati. L’Italia è al 350%, la Germania al 270% entrambe ampiamente nella media di paesi senza grossi problemi di debito. Ne vien fuori, altresì, che l’Italia paga anche per mantenere la Francia che intanto per un decennio ha beneficiato dello sforamento del 3% senza richiami ufficiali e senza clamore da parte di Bruxelles. La domanda allora sarebbe d’uopo: perché all’Italia non sono concessi gli investimenti in debito se il “metodo” francese, che è poi quello che vogliono adottare i giallo-verdi in Italia, ha portato il rapporto deficit/pil al 2,6%? Perché continuamente si parla del debito pubblico italiano e non di quello francese che pure da esso non si discosta tanto? La risposta sta nel fatto che in Europa stanno cercando un capro espiatorio per mandare tutto all’aria e ritornare al XX secolo. E i cattivi dobbiamo essere noi perché Francia e Germania hanno meno crediti nei nostri confronti di quanto non li abbiano in Grecia, Spagna e nel resto dell’Europa; e anche e soprattutto perché di questo passo il signor Macron rischia di dover indossare la maglia del peggiore debitore della pseudo unione europea. Insomma sembra proprio che il nemico giurato dei populisti e convinto europeista Macron, si scopra all’improvviso più sovranista e populista di Salvini…anche nella politica estera.

Il quotidiano economico Les Echos, che italiano non è, nel dicembre 2017 definiva la Francia come la più indisciplinata relativamente alle regole di bilancio europee.

Tiene banco, infatti, in questi giorni l’ennesima questione libica che mette a dura prova gli interessi italiani in Africa. Su “Il Mattino” di ieri, il professor Alessandro Orsini traccia un profilo interessante della vicenda. Il governo di Tripoli nasce il 30 Marzo 2016 con la legittimazione dell’ONU, ma la Francia decide di sostenere Haftar in barba agli accordi e in barba all’ONU. Orsini afferma che “la situazione che si è determinata è talmente sfavorevole all’Italia che occorre pensare a un piano alternativo e cioè che la Libia venga divisa in due stati sovrani e indipendenti: Tripolitania e Cirenaica. L’Italia non deve operare per una soluzione di questo tipo, ma deve considerarla”. Appare verosimilmente strano come successivamente alla drastica riduzione dei flussi migratori dalla Libia verso l’Italia, frutto di un duro lavoro da parte del governo attuale e di quello precedente, la situazione libica si sia drasticamente complicata mettendo in pericolo gli accordi italo-libici e trasformando improvvisamente quel territorio in un campo di guerra dal quale fuggire potendo quindi chiedere asilo politico come rifugiato.

Tutto ciò ha un inizio che si individua nella scellerata, ma quanto mai mirata, politica francese ai tempi di Sarkozy e Hollande. Il primo nel 2011 promosse l’omicidio di Gheddafi, precipitando la Libia in una crisi politica che dura da sette anni, al fine di eliminare il trattato italo-libico del 2008 e porre un freno alla supremazia dell’Eni nel mercato petrolifero libico; il secondo che mentre all’ONU nel 2015 affermava di appoggiare il governo di Al-Sarraj, fu scoperto mentre aiutava Haftar fornendo armi e uomini delle forze speciali nella base di Benina.

Chi oggi ci fa la morale è anche il fautore dell’instabilità in Libia che, in seguito al pianificato omicidio di Gheddafi, è improvvisamente diventata oggetto del desiderio, oltre che dei francesi, anche di Egitto, Russia, Emirati Arabi, Tunisia, Ciad, Niger, Sudan, Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Nel mentre Emanuele il francese, per consolidare la sua posizione, sta tentando a tutti i costi di indire elezioni anticipate dimenticando però un particolare di fondamentale importanza che Orsini illustra molto bene: “La domanda che bisognerebbe rivolgere a Macron è la seguente: di grazia, se si votasse in assenza di un accordo costituzionale, si voterebbe per eleggere quale tipo di istituzioni? Il voto dovrebbe dare vita ad una repubblica presidenziale o parlamentare? È importante saperlo perché se le elezioni fossero presidenziali, essendoci molte milizie armate, il rischio di un’escalation sarebbe alto, giacché il nuovo presidente sarebbe autorizzato a disarmarle e a sottometterle.  Se invece le elezioni fossero parlamentari, la frammentazione sarebbe certa con la conseguente ingovernabilità”.  

Questi aspetti se da un lato non interessano Macron, per il quale è importante esclusivamente la messa fuori gioco dell’Italia, dall’altro sembrano lasciare indifferenti anche coloro che in Italia idolatrano il francese come il paladino degli interessi comuni europei. In un articolo di stamattina di Fulvio Scaglione su “Linkiesta” ben si capisce, invece, come l’operato del buon Emanuele non sia frutto del caso: “Le milizie moralizzatrici (dicono che il Governo è corrotto, pensa un po’ da che pulpito) sono passate all’offensiva tra il viaggio del nostro premier Conte a Washington, dove Donald Trump si era spinto a proporre una “cabina di regia” italo-americana per la Libia, e la conferenza sulla Libia organizzata a Roma per il 10 novembre. Il suo piano [di Macron – ndr] è chiaro: far fuori Al-Sarraj e andare in dicembre a quelle elezioni che nessuno tranne lui voleva e che finirebbero con l’incoronare un vassallo di Parigi”.

Petrolio, gas e migranti…tanti soldi in ballo per una economia (quella francese) alle strette

Ha ragione quindi Scaglione quando parla di vecchio e sporco colonialismo Francese perché di questo si tratta: petrolio, gas e migranti…tanti soldi in ballo per una economia (quella francese) alle strette e la concreta possibilità di eliminare definitivamente un diretto concorrente come l’Italia che in Europa inizia a diventare scomodo, mentre in Libia lo è sempre stato. Decentrare le risorse italiane sull’immigrazione, infatti, ci costringerebbe gioco-forza a sottrarle ad altri settori dell’economia facendo proseguire la stagnazione.

Scaglione, inoltre, aggiunge: “chiunque governi l’Italia, comunque la governi, che si affidi ai toni suadenti di Gentiloni o alle invettive di Salvini, che si tratti di petrolio o di immigrazione, ha nella Francia un avversario naturale e inevitabile. La solidarietà mediterranea, l’unità europea, la fede nella democrazia… Sono tutte balle, la Francia fa i propri interessi ai nostri danni. Vogliamo prenderne atto?

In Libia, quindi, la faccenda è molto semplice:mors tua, vita mea. Prima lo capiscono a Roma, prima si eviterà l’ennesima presa per i fondelli ai nostri danni.

Un monito per Conte ed i suoi vicepremier i quali devono assolutamente considerarlo e agire di conseguenza prima di pronunciare qualsiasi invettiva, ripagando Emanuele il francese con la stessa moneta. Sia chiaro che non c’è diplomazia che tenga dato che tale arte non ha mai significato nulla per i francesi se non a cose fatte allo scopo di tutelare i loro interessi. In Libia, quindi, la faccenda è molto semplice: mors tua, vita mea. Prima lo capiscono a Roma, prima si eviterà l’ennesima presa per i fondelli ai nostri danni.

d.A.P.          

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